mercoledì 18 dicembre 2013

UN LIBRO A NATALE È BUONO (per sostenere la sostenibilità, come dice mio fratello Pino).


Quando ho pensato per la prima volta di pubblicare un libro che raccogliesse le foto più significative del mio lavoro... era tanti anni fa. Non era stata ancora coniata la parola "femminicidio", non c'era ancora lazanardo, e tante cose non erano ancora successe. Mi sembrava importante pubblicare quelle foto perché costituivano per me i fotogrammi scomposti e forse spaginati di un film che si stava girando sotto i nostri occhi, senza che riuscissimo a sentire il rumore della machina da presa. Una cosa zitta zitta, silenziosa silenziosa anche se spettacolarmente invadente e velenosa. Facevamo finta di non vedere e sorridevamo imbarazzati, perchè non volevamo apparire antichi di fronte al moderno che avanzava veloce. E zitt* siamo rimast* per tanto tempo. Mi ricordo che prendevo faticosi appuntamenti con editori che mi ricevevano a malavoglia e mi lasciavano deluso ogni volta di più perchè non mi degnavano di quel po' di attenzione che forse sarebbe stata necessaria. I più spudorati mi chiedevano dei soldi, facendomi capire che per denaro avrebbero pubblicato anche quella roba lì. Altri grandi e piccoli, di regine o indipendenti perdevano il progetto o mi facevano perdere la pazienza dietro mille telefonate. Arrivato al 18mo editore mi sono scocciato: questo bambinello doveva nascere, la gravidanza era oltre il termine. Allora ho concepito la mia seconda follia (dopo quella dell'auto-edizione del libro fotografico Capri!): pubblicarlo da solo, senza editori né distribuzione né libreria. Ma anche senza foto: costava troppo. È stato concepito come un libro di fotografie senza fotografie, ma solo con il testo. Le immagini erano scappate su un sito creato appositamente per economizzare sulla stampa. Ma alla fine è stata una mossa vincente. E così mi sono messo per sei mesi a riscrivere tutta quella complicata storia del lupo cattivo e l'11/11/11 il bambinello è nato. Solo solo, piccolo piccolo, ma bianco e rosso in volto. Sembrava in salute. Da allora si è comportato come un vero campione: mille copie vendute in due anni. Vendute una a una a persone che ascoltavano le mie conferenze o lo ordinavano per posta e io prontamente lo spedivo. Pochissimi omaggi perché il lavoro era a carico mio e doveva rendermi quel po' di denaro per andare avanti sulla strada del lupo, andare a fare conferenze gratuite nelle scuole occupate o conferenze mal pagate nei comuni occupati pure loro, ma dai politicanti. Nel più candido isolamento questo bambinello è cresciuto, senza nemmeno una recensione, mai un articolo su una testata importante, mai un'intervista al cocciuto autore che l'aveva scritto. Altro che "Usciamo dal silenzio" qui è stato un "precipitiamo nel silenzio". Ma non importa. Ne sono stato orgoglioso e soddisfatto sentendo quelle mille mani che mi hanno ringraziato, abbraciato spesso con occhi lucidi, quasi sempre senza parole ma con l'eco profonda di un dolore inconfessabile. Nelle oltre 90 conferenze di questi anni ho capito un milione di cose, ho scoperto territorio dell'animo unamo che immaginavo inesistenti, ho sentito storie che mi hanno cambiato dentro e fuori, ho forse aiutato donne e uomini a guardarsi dentro con più coraggio. Ne sono stato felice. Anche se non posso dire che non mi abbia fatto male tutto questo silenzio, questa indifferenza del mondo che detiene le manopole dell'informazione, questa diffidenza per un uomo che si occupava di "cose da donne".
Adesso sono rimaste le ultime 300 copie e mi piacerebbe vederle volare via in questa fine d'anno, come una cometa all'incontrario, che va dalla terra al cielo. Voglio passare ad altro, questo "testamento" sulla mia idea delle radici culturali della violenza sulla donna ha fatto la sua strada e sento il bisogno di andare altrove. Vorrei portare la mia macchina fotografica e la mia poesia su altre spiagge di diritti malconci, spiegazzati, strappati, calpestati.
Datemi ancora una mano. Comprate e regalate queste 300 copie così potrò finalmente lasciare questo libro ormai adulto e occuparmi di altre creaturine, pur sapendo che sarà difficile, oggi come ventiquattro anni fa. Ma voi ci sarete ancora. Lo sento. E le faremo crescere insieme queste creaturine.
Buon Natale
Ico

(ah, per sapere come fare a comprarlo andate sul sito www.ilmaestrodellupocattivo.it)

domenica 8 dicembre 2013

V come Vagina. Lettera aperta al dott.Stefano Beraldo Amministratore Delegato di OVS

Milano 7 dicembre 2013 - Sant'Ambrogio
La domanda che vorrei porre all'inizio di questa nostra conversazione (per il momento a senso unico) è se, come azienda e lei come singolo individuo e manager di carriera, siete venuti a conoscenza del fatto che una parte piccola – ma sicuramente in lenta e continua crescita numerica – della popolazione di questo paese sta cominciando a trovare non più accettabili certe campagne pubblicitarie che, per essere sintetici, rappresentano la donna in maniera inadeguata ai tempi moderni, sottovalutata, oggettivata (cioè trasformata e presentata solo come oggetto sessualmente desiderabile e disponibile), ridicolizzata, super-erotizzata, ridotta a puro specchietto sexy per le allodole (che dovremmo poi capire chi sono e cosa dovrebbero pensare queste allodole, secondo voi).
In altri termini, pubblicità che rappresentano pagine del grande e composito libro dove si insegna e si apprende quella che ormai viene definita abitualmente "la cultura della violenza sulla donna", dagli esiti imprevedibili e in troppi casi addirittura criminali.
Ma ci tengo a rassicurarla e, la prego, non mi fraintenda: ho detto "grande e composito libro", non ho detto "pallottola". In questo stesso libro trovano posto infatti anche tutte le altre migliaia di campagne pubblicitarie stradali sessiste d'Italia, insieme alla televisione pubblica e privata, ai giornali maschili e femminili, alla politica, ecc. ecc. che alimentano questa cultura.
Veniamo ora al manifesto in oggetto. 

Seguo da tempo le vostre campagne, soprattutto quelle successive alla trasformazione del vecchio e un po' polveroso marchio OVS in uno più moderno, affidato a un logo composto dalle tre lettere bianche, lunghe e sottili. Quelle che vediamo appunto anche in questa campagna. 
In questo percorso ho notato che vi siete sempre posizionati sulla linea del cosiddetto "sessismo benevolo" cioè quella specifica rappresentazione della donna ai fini pubblicitari che rimane in maniera rassicurante all'interno di stereotipi ormai largamente accettati (ahimè) e che mettono mano alle categorie di bellezza, magrezza, giovinezza, liscezza, dolcezza, biondezza e via dicendo (libertà poetiche comprese). Questo sessismo, tuttavia, è pur sempre una forma di sessismo, anche se benevolo, e rimane in ogni caso discriminante. Discriminante nei confronti di milioni di persone che non rientrano o non rientrano pienamente negli stereotipi suddetti e che ci fanno i conti tutte le mattine davanti allo specchio o il pomeriggio in palestra o la sera davanti al possibile fidanzato. Vorrebbero assomigliare al/alla testimonial di turno, ma non ci riusciranno neanche acquistando un capo OVS. Ma questo lo scopriranno dopo.
Lo stesso messaggio, con logica inversa, soddisfa invece la vostra missione di comunicatori "aspirazionali" nei confronti del pubblico: gli offrite un modello cui assomigliare. "Modello" inteso nei due significati di capo di abbigliamento e "modello" di comportamento, studiato per essere riconosciuto dal settore strategico del target cui la campagna è dedicata: ragazza carina acqua e sapone, oppure ragazza carina disinibita e provocante, giovanotto palestrato e simili.
In passato non avete mai sconfinato a mia memoria nel cosiddetto "sessismo malevolo", cioè quello che fa dei passi in avanti sulla strada del "modello", passando ad allusioni sessuali medie, pesanti e pesantissime che presentano, offrono, sempre la donna eccitante davanti ai nostri occhi di maschi ormai eroticamente sopraffatti da tanta inaspettata offerta di carta. 
Oggi però mi avete sospreso. 
Siete scesi anche voi sul terreno (innevato) della volgarità a dir poco, del sessismo velenoso a voler dire più precisamente. E che avete fatto, sicuramente dopo averne discusso e concordato in sede aziendale? Avete preso una ragazza simile al tipo medio del vostro repertorio d'immagine acqua e sapone, cioè non super-erotizzata e provocante, ma l'avete fatta accomodare con intimo in pizzo nero ben evidente, con le gambe nude talmente allargate da non entrare nella larghezza del cartellone, sulla neve, non prima di averla ridicolizzata con un paio di inutili occhialoni appesi al collo. Questa ragazza comunque non rinuncia alle sue tradizionali "armi" femminili, ci guarda fissa, determinata, non certo indisponibile, se dobbiamo dare credito a quel minimo di storia iconografica che da oltre 3000 anni ci accompagna, con le braccia in segno di attesa. 
Ma ecco il capolavoro, quello che ai miei occhi sembrerebbe indicare addirittura una svolta di stile: il vostro triletterato marchio trova posto in quel golfo venutosi a creare tra le gambe aperte e i caldi stivaloni di pelo, e accoglie, manco a dirlo, la lettera V al centro di detto golfo, diciamo pure in corrispondenza del ventre della ragazza. Lo so che tutta la campagna è fatta con il marchio in quella posizione, indipendentemente dal soggetto, ma non l'ho mica deciso io!! Noi lo vediamo così, poco ci importa delle vostre regole grafiche.
Ora, questa è una semplice descrizione dell'immagine (ragazza vestita così, seduta così, gambe messe così, scritta collocata colà ecc.). Le interpretazioni personali, soggettive, potranno tendere da una parte o dall'altra, a seconda degli interessi e della capacità di lettura dell'osservatore e anche la sua appartenenza di genere: uomo o donna che guarda?
Tuttavia, in attesa di queste considerazioni personali, non posso non ribadire ancora una volta un concetto fondamentale, un caposaldo: la comunicazione pubblicitaria a mezzo di pubblicità stradale sarà vista da tutte le persone che ci passeranno davanti e non potranno fare a meno di vederla. Potranno non guardarla o guardarla frettolosamente, ma l'immagine, insieme alle altre migliaia che ogni anno ci avvelenano l'anima, verrà memorizzata in qualche angolino del nostro cervello di uomini e di donne. 
Ecco allora che la sua responsabilità di manager diventa più impegnativa, più stringente, più vincolante: tutti i possibili significati che un vostro cartellone porta con sé devono essere preventivamente analizzati e vagliati e, se necessario esclusi, al fine di non produrre nuove pagine di quel maledetto libro di cui sopra.
Questa vostra ragazza OVS sta cercando di venderci un top in pizzo – che si vede pochissimo – a soli 6,99 euro (scritta che si distingue male e si percepisce molto dopo le gambe della ragazza e la famosa V) ma sta anche rappresentando un modello di comportamento che potrebbe essere legittimo se inquadrato nell'ambito della nostra vita privata in cui siamo liberissimi/e – e ripeto liberissimi/e – di fare e vestire e allargare le gambe come e dove vogliamo, ma diventa "comunicazione obbligatoria", quindi veicolo di istruzioni e informazioni se stampato su un cartellone stradale. Sì lo so, avete chiesto al Comune di Milano (che lo ha concesso) il permesso di affissione della campagna ma con esso avete ottenuto il permesso di esposizione in piena strada di questa ragazza dalle gambe larghe e la V strategica per una quindicina di giorni, senza preoccuparvi di conoscere la nostra opinione in proposito. 
Certo, mi dirà, sarebbe inattuabile un tale tipo di consultazione preventiva e concordo con lei. E poi... su quale gruppo di ricerca condurre l'intervista, selezionato come e da chi? Lasciamo perdere.
Proprio per questo siamo nelle sue mani.
Ecco allora che le campagne, anche le future OVS, soprattutto quando saranno rivolte al target "GIOVANI DONNE" dovranno essere più rispettose della salvaguardia di due diritti fondamentali: quello delle donne di non vedersi rappresentate sempre e solamente come degli oggetti sessuali da desiderare e possedere, ma come delle persone (una banalità che dobbiamo, purtroppo, ancora ripetere) e quello degli uomini – giovani e meno giovani – a essere lasciati tranquilli, senza queste continua fonte di eccitazione sessuale a portata di naso, perché moltissimi di noi non sono ancora capaci di filtrarle queste immagini e razionalizzarle con gli argomenti del rispetto e della civiltà che le renderebbero addirittura innocue e noiose.
Per concludere, le dico che questa lettera non la spedirò al suo indirizzo di ufficio, facilmente reperibile sul vostro sito, ma la affido anch'io a un pubblico di consumatori e consumatrici, come fate voi con i manifesti, un pubblico che frequenta il web e magari la rilancerà, finchè andrà nelle mani di qualcuno o qualcuna che potrà recapitargliela personalmente. 
E se non le arriverà, pazienza. Anche il suo messaggio di invito al consumo OVS non mi è arrivato. Il mondo è pieno di magliette!





domenica 1 dicembre 2013

Dedicato alla Casa delle Donne di Jesi. Sportello antiviolenza. 29 novembre 2013

Foto: © Ico Gasparri 2009
Testo: © Ico Gasparri 2013


e quando ci chiese di alzarci...
quando chiese di alzarsi a tutte quelle di noi che nella propria vita avessero subito – in quanto donne – una qualche forma di violenza, di sopruso, di maltrattamento fisico o psicologico, economico, qualche discriminazione in casa, sul lavoro, nel mondo degli altri, davanti agli altri o nel chiuso della propria casa o nel recinto segreto delle nostre lenzuola... le luci si abbasarono (le luci si abbassano in sala).
Cominciai a volgere lo sguardo intorno a me senza voltare la testa; guardavo basso quelle due o tre sedute accanto a me, poi un po' più in là, finchè lo sguardo della testa-senza-rotazione poteva arrivare.
Poi guardai me.
Guardai le mie mani, le mie gambe e cominciai a pensare a me, alla mia storia. 
Andai indietro alla ricerca di qualcosa che magari mi riguardava. Andai alla ricerca di ricordi ghiacciati e cominciai ad aprire i cassetti dei miei ricordi. Percepivo – con la testa sempre più incassata nel collo – che anche le altre stavano scavando come me e mi chiedevo con terrore cosa avessero scoperto loro nel ghiaccio dei ricordi. 
Tiravio via lo sguardo quando inciampavo in qualcosa che mi bruciava, ma sentivo e rivedevo senza guardarli distintamente molti, troppi, episodi che mi avrebbero dovuto far alzare.
E mentre pensavo così...
E mentre pensavo così, sentii dietro di me una donna alzarsi, facendo un piccolo rumore con la sedia e con il cappotto che le cadeva. Non trovai la forza di voltarmi e mi domandavo chi fosse, che ricordi avesse trovato nei suoi cassetti di bambina, di ragazza o di donna.
E mentre pensavo così...
E mentre pansavo così, si alzarono allo stesso tempo due donne più avanti di me, una a destra e una a sinistra. Nella penombra vedevo bene le loro sagone e riconobbi Margherita, una mia amica del liceo che sedeva due file davanti a me. Mi fece male vederla in piedi. Non sapevo, non immaginavo perché.
Sentivo altri fruscii, altre poltrone chiudersi e cappotti buttati giù. 
E io restavo seduta, con le gambe ormai di cemento pesante.
Restavo seduta guardando indietro come alla vita di un'altra.
Fui tra le ultime ad alzarmi, senza nemmeno che i ricordi vicini o lontani si fossero messi tutti correttamente a fuoco. Non ne avevo bisogno: quel ghiaccio mi diceva che le gambe pesanti dovevano muoversi.
In piedi, nel silenzio, la mia vicina, in piedi anche lei, mi strinse la mano che avevo appoggiato alla poltrona davanti a me per tenermi dritta.
Mi voltai un poco a guardarla, quel poco che mi consentì di vedere la mano del suo compagno, in piedi anche lui, stringersi alla sua, appoggiata alla poltrona davanti a loro. Vuota. Con una donna in piedi.


Per le donne della Casa delle Donne di Jesi. 
Sportello antiviolenza. 
Chiama il 366 48 18 366.


martedì 24 settembre 2013

COCONUDA: ma mi faccia il piacere!

2006
2011
2011

2013

Oggi 24 settembre 2013

Oggi 24 settembre 2013
Come già preannunciato in questo blog, si sta allargando rapidamente, molto rapidamente, il gruppo dei/delle professionisti/e dell'antiviolenza sulla donna. Imprenditori che per anni, a capo di importanti aziende della moda, hanno diffuso milioni di metri quadrati di pubblicità violente, oggi si risciacquano in fretta e furia e improvvisano campagne che sembrano dirette addirittura contro il loro stesso passato. Nuove campagne e dichiarazioni spontanee contro la violenza sulla donna subentrano con disinvoltura ad anni di cultura e di campagne sessiste. 

Certo, per sostenere questa mia affermazione occorre credere e voler ammettere che la cultura della violenza sulla donna, somministrata a intere generazioni di maschi e di femmine anche dalla pubblicità stradale violenta, abbia qualcosa a che vedere con le donne femminicidiate. Ma si tratta di collegamenti scomodi. Molto scomodi.

Allora io dedico un po' del mio tempo a scrivere queste rapide memorie, utilizzando documenti raccolti in tempi non sospetti, tempi in cui questo tema non era ancora così di moda, offrendo ai committenti un motivo – speriamo – di riflessione e alle future relatrici di conferenze comunali testi pronti da copiare e incollare. Anche senza citare la fonte, va bene lo stesso.


In questa campagna COCONUDA di oggi, dall'iconografia molto complessa, forse irrisolvibile, compaiono elementi usuali, come il pianto di una donna forse maltrattata (pianto che viene lasciato intuire dal trucco nero che cola), accanto a elementi equivoci come la coroncina sulla testa che non è volata via in una presumibile lite (?) generatrice del pianto, e un seno procace che spunta da una camicetta aperta ma non lacerata. 
Le due figure della donna senza gonna e dell'uomo in jeans strappati alla moda sono sedute per terra e non sembrano aver litigato tra di loro. L'uomo appoggiato al muro – che dalla scritta in basso Fabio Coconuda capiamo essere l'imprenditore – si schiera dalla parte dei buoni e ci presenta, piccola ma chiara, la scritta BASTA nel palmo della mano sinistra. 
La donna ci viene mostrata in primo piano con un'aria triste ma non drammatica; l'uomo lì presente non appare, tuttavia, come il suo maltrattante. Almeno non dal punto di vista iconografico. Un'altra raffinata – e vogliamo sperare involontaria – violenza nella rappresentazione di genere. 

Et cetera...   

Che dire al signor Fabio? 
- che la lotta alla violenza è una cosa seria, terribilmente difficile e di lunga, lunghissima, durata;
- che la stessa testimonial Tatangelo era già stata vista mesi fa in una campagna nello stesso identico spazio della metropolitana milanese (vedi le due foto sopra), con il pube generosamente in vista e che forse era meglio cambiare, se proprio ci doveva essere una bellissima donna da mostrare contro la violenza;
- che negli anni scorsi avevo già fotografato altre campagne della sua azienda e le avevo inserite senza sforzo nella mia ricerca sui maestri del lupo cattivo: non erano proprio capolavori dell'antiviolenza;
- che tra queste campagne spiccava quella geniale invenzione del 2011 con l'incredibile marchio COCONUDINA, timido anticipatore delle sempre più numerose e anch'esse preannunciate campagne con bambine al posto delle adolescenti e delle donne adulte, della quale non ci deve sfuggire il doppio micidiale gioco di parole;
- che le campagne sociali le devono fare i ministeri (Nolita/anoressia docet);
- che siamo contenti, molto contenti, se gli imprenditori si ravvedono e vogliono fare campagne sociali, ma devono studiare meglio le regole della comunicazione, almeno quelle basilari, e bilanciare, ad esempio, la grandezza e l'impatto dei testi. 
- che un imprenditore davvero animato da un desiderio di riscatto sociale deve mettere piccolo piccolo il nome della sua azienda, oppure toglierlo del tutto, e mettere grande grande lo slogan contro la violenza;

OGGI 24 settembre 2013

- che nella campagna in oggetto avviene l'esatto contrario di quanto detto (vedi foto sopra, in cui compare anche il cartello stradale del bambino con la cartella grande che porta a scuola la sorellina con la cartella piccola!!! Anche qui questione di pesi di genere);
- che, concludendo, in mancanza di quella che a mio avviso dovrebbe essere una minima e necessaria dose di credibilità, mi viene spontaneo rivolgerle la celebre frase di Totò: ma mi faccia il piacere!!!  

Ico Gasparri
24 settembre 2013

mercoledì 18 settembre 2013

GRAZIATM. E la memoria ci venne in soccorso




E la memoria ci venne in soccorso e ci ricordò.
Del resto è il suo mestiere, della memoria, farci ricordare.
La memoria è silenziosa
parla molto piano
e per intendere cosa ci sta dicendo
dobbiamo avere le mente libera
senza bozzoli di cotone.
Allora le chiesi di parlarci 
con una musica forte e pizzicante
affinché saltassero
i tappi anche a quelle 
che non volevano sentire
e lei mise la musica
ma i tappi non saltarono
e le menti ci apparvero immobili
sedute nella stanza
dai divani rossi.

Ico Gasparri
18 settembre 2013



mercoledì 11 settembre 2013

Milano: una grande bocca per una grande città. Grazie ATM

L'8 aprile 2013 (vedi il post più sotto) ho mandato una richiesta all'azienda di trasporti milanese ATM per offrire la mia consulenza (gratuita, peraltro) all'istituzione della prima FREE SEXISM ZONE costituita da un'area di loro pertinenza, vale a dire le reti metropolitane e la rete di superficie, libera da pubblicità violente. Naturalmente non mi hanno preso sul serio. Ottenere una qualche risposta è stata cosa lunga, faticosa e come al solito mortificante. La responsabile delle relazioni con il pubblico dopo circa 90 giorni mi ha scritto due righe, ormai inaspettate, in cui si dichiarava che tutto è sotto controllo, che loro già vigilano sui contenuti pubblicitari, che sono corretti, altrimenti le loro concessionarie interverrebbero ecc. ecc. 
Nonostante lo sfinimento – rinforzato dai provvedimenti sulla pubblicità emessi nel frattempo della giunta milanese, meritevoli di una discussione a parte perché sembrano piovuti da un pianeta sconosciuto – questa mattina ho fotografato questa straordinaria campagna apparsa su tanti tram della città. 
La sola cosa che ho la forza di fare è di pubblicare questa immagine fresca fresca qui, nel mio blog e di farla circolare nella mia rete chiedendo questa volta a voi di mandarla alla signora. Il nome non importa. Mandatela all'ATM, ai dirigenti che conoscete, agli impiegati, a chi volete, e se li conoscete di persona mandatela anche al sindaco, alle nostre rappresentanti in amministrazione (magari a voi rispondono) alle tante guru della pubblicità che amano tanto l'ironia per chiedere esattamente cosa intendono loro quando ci dicono che si stanno occupando del problema della violenza sulla donna nella pubblicità.

giovedì 22 agosto 2013

Dedicato alle aspiranti Miss Italia

Care ragazze, quando ho visto questa campagna pubblicitaria dell'ACQUA ROCCHETTA BRIO BLU ho pensato a voi. Lo ammetto, con tristezza. A voi tutte. Non solo alle 101 finaliste del concorso di MISS ITALIA, ma a quelle migliaia di ragazze italiane in età da regolamento che ogni anno si sottopongono all'umiliante sfilata di cosce e sguardi ammalianti, alle selezioni da macelleria nelle discoteche, nei teatri, nelle piazze di provincia, sulle spiagge, spesso con le magliette bagnate per far risaltare i seni meglio ancora di un reggiseno stretto-stretto, sperando in cuor loro di arrivare sul quel benedetto palcoscenico e versare le lacrime che apriranno le porte al successo, alla  notorietà, al denaro. 
E mentre pensavo a voi e guardavo quella coppia di manifesti rosso e blu, mi convincevo ancora di più della mia contrarietà nell'identificare la bellezza femminile quale strumento per arrivare al legittimo successo nella vita, per fare carriera, per imporsi anche solo nel gruppo di compagni di scuola. 
Scusatemi, ma non la penso come voi. Guardate a cosa hanno portato i tanti sforzi, i probabili sacrifici personali e familiari, le tante aspettative della vostra collega vincitrice dell'edizione 2012: a fare la bottiglia di acqua minerale! Ad assumerne i colori, a interpretarne l'effervescenza e la briosità, ancheggiando, saltellando e contorcendosi in improbabili pose da pubblicità all'italiana. Per convincervi… Già! Ma per convincervi a fare cosa? 
C'è scritto chiaro e tondo: a piacere. "Rossa o blu mi piaci tu". Non importa se sarete "frizzantissime" o solo "leggermente frizzanti", l'importante è piacere. Ma piacere a chi? Questo lo sapete da sole. Lo vivete – bene o male – tutti i giorni sulla vostra pelle e lo vivono anche quei milioni di donne nel mondo che non rientrano nelle vostre misure da concorso e subiscono discriminazioni di tutti i tipi perché tentano di progredire grazie alle proprie capacità e non alle forme del corpo avuto in dote dalla natura. E allora tiratele fuori anche voi le capacità che certamente avete: ritiratevi dal concorso, fate sciopero! Riprendetevi la vostra dignità di persone e lasciate la figura di bambola che vi hanno appiccicato. 
Io per conto mio so già quello che farò: toglierò le bottiglie di ACQUA ROCCHETTA BRIO BLU dal mio carrello della spesa. Il mondo è pieno di acque minerali e, ancor meglio, di acqua del rubinetto. 

martedì 18 giugno 2013

Tiramisù e succhia!

Ma complimenti! Complimenti davvero signori e (sicuramente anche) signore dalla MAGNUM. Sono anni che continuate su questa strada e non mollate. Questa sì che si chiama determinazione! Io invece sono stufo di questa perenne allusione alla fellatio. Sì a mettere il pene in bocca alle donne. Non ne posso più. Sta diventando un'ossessione per voi. E anche per milioni di donne che se lo sentono richiedere in continuazione e di uomini che non si sentono uomini se non lo fanno in bocca a una donna. Che le piaccia o meno, non importa. 
Non ci piace più. Forse non ci è mai piaciuto vedere il nostro sesso sfruttato da voi per vendere gelati e fare profitti. E allora sapete cosa faccio io?
Continuo come ormai faccio da anni a non comprare gelati della MAGNUM perché le vostre pubblicità mi fanno schifo e sono pagine di insegnamento alla violenza sulla donna. Mi compro un altro gelato, magari artigianale e senza fellatio. Il mondo è pieno di gelati e... di fellationes liberamente scelte da uomini e donne.

giovedì 6 giugno 2013

Mettiamo le donne in sicurezza!

Milano. 5 giugno 2013. Passaggio tra Piazza Beccaria e Corso V.Emanuele. Bicicletta. Mattina alle 9. Mi fermo prendo la mia macchina digitale piccola, ma la trovo scarica nella borsa! Allora faccio col telefonino. 5 ragazze sedute al bar a fare colazione, amiche d'ufficio. Sono protette dai vetri della terrazza del bar. Si voltano a guardare questo signore che fotografa una vetrina trasformata in cartellone pubblicitario. Si guardano stupite. Continuano con il cappuccino. Io riparto in bici. E non posso non pensare. È tanto che ho smesso di fare le foto "a tappeto" della pubblicità violenta per le strade di Milano, ma di tanto in tanto scatto qualche immagine che mi occorre per spiegare meglio alle scolaresche cosa voglio dire quando dico. Quando parlo loro del gioco delle mani nella pubblicità violenta. Di come gli uomini tocchino le donne e di come le donne restituiscano o meno la toccata ai maschi sui cartelloni. Eccone uno che sembrerebbe fatto espressamente per le mie  lezioni. In cuor mio ringrazio le signore o i signori che l'hanno inventata così mi risparmiano tante parole. Ché mi difettano sempre più a proposito di questa lotta spuntita. Penso, come uomo, a come possa essere stringere una donna così, tirandola per la schiena, mentre il mio compare dall'altra parte la tira a sé per il bacino. E lei non ci deve toccare. Le sue mani sono ripiegate come un fiore sullo stelo. E l'azienda ALCOTT ha chiesto ai tre della scena a torsi nudi di guardarci con lo sguardo fisso affinché non si tradissero sentimenti, timori, paure, morbosità – forse –, che avrebbero potuto far gridare allo scandalo. Infatti i tre ragazzi ci guardano con un gioco non esplicito di occhi che tradisce anche una scelta gerarchica: l'uomo che ha la donna in mano, di faccia, è più alto, dominante sul terzetto, l'altro sta dietro allineato nelle orbite alla donna. Quando spiego ai ragazzi e alle ragazze che ogni particolare di una scena pubblicitaria viene scientificamente studiato alludo anche a questo. Pedalo via e guardo ancora una volta. Guardo le mani ripiegate di questa attrice della nostra storia sociale contemporanea e penso alle tonnellate di falsità che si dicono sulla sicurezza, sul contrasto alla violenza sulle donne con gli sbirri, alla necessità di presidiare le periferie ecc ecc di falsità in falsità. Questi qui ci hanno pensato in un modo originale a mettere la donna in sicurezza, collocandola al mezzo di due maschi che la tengono al suo posto. Ferma e metà muda a farsi proteggere. Mi sembra quasi una cassaforte. O forse è solo una micidiale cassa? Non ero mai entrato in un negozio ALCOTT ma sono sicuro che non ci entrerò mai. Il corso è pieno di negozi che vendono pantaloni. Da uomo e da donna.

mercoledì 29 maggio 2013

Dell'esempio e delle parole prese a prestito.


Sentire pronunciare dalla signora carfagna la relazione sull'approvazione della convenzione di Istambul da parte dell'Italia contro la violenza sulle donne, con parole del tipo "la violenza sulle donne affonda le sue radici in una cultura dominante, profondamente indifferente o ostile a una piena uguaglianza uomo-donna" ecc. ecc. mi induce a riflettere sull'importanza fondamentale dell'ESEMPIO che ognuno di noi deve fornire con la propria biografia per poter essere credibile e fare politica sui diritti. Che questa signora si sia riveduta (io non la conosco e non posso saperlo) sul cammino della sua vita, passando da interprete di primo piano di una cultura maschilista quanto mai bieca (vedi totale silenzio in parlamento all'epoca della prostituzione di stato e mille altre occasioni regalataci dal suo capo) mi fa umanamente piacere, ma l'effetto delle sue parole risulta purtroppo finto e poco credibile e ciò non aiuta minimamente quella battaglia che lei dice di sostenere. Questo mi sembra invece il risultato di una politica che mira alla dimenticanza, all'uniformazione e all'accondiscendenza che sono alcune delle aree mentali di elezione in cui si consuma questa secolare storia dell'uomo che "abbassa" (quanto questa parola è vicina ad "ammazza") la donna. Che si ritiri in silenzio a fare militanza reale per i diritti sconfessando la rappresentazione di questa violazione costituita dal suo partito nel suo insieme. Ne esca. Prenda posizioni sul gergo usato dai suoi colleghi e colleghe di partito, sui loro pensieri da bar(accone). Combatta in prima persona, con la propria faccia e con la propria storia personale a favore di una presa di distanza effettiva dal mondo violento e maschilista dal quale si fa eleggere. In attesa di tutti questi meravigliosi cambiamenti, io credo che sarebbe stato più utile per la diffusione di quei motivi di contrasto alla discriminazione di cui parla la convenzione che questa relazione fosse stata pronunciata da altra parlamentare. Io all'esempio ci credo ancora, è un altro modo per nominare il senso di responsabilità, e anche se non ci soffermassimo a esprimere un parere filosofico sull'esempio, basterebbe guardare le facce poco convinte di quante e quanti lottano tutti i giorni contro questa cultura della violenza degli uomini sulle donne per capire che le parole erano giuste, ma erano prese a prestito.

martedì 7 maggio 2013

Lettera aperta e fiduciosa alla Presidente della Camera Laura Boldrini




Gentile Presidente Boldrini,
la mia estraneità ai circoli del potere e della politica fa sì che io non abbia altro mezzo per contattarla al di fuori di questa mail. Sento, tuttavia, il dovere di farlo perché finalmente un'alta carica dello Stato si prende carico di un problema che da oltre vent'anni studio e per il quale mi batto (in definitiva, senza grandissimi risultati): la cultura della violenza sulla donna attraverso la pubblicità. Credo di aver maturato in questo lunghissimo periodo di impegno civile le competenze necessarie per potermi permettere di offrire la mia collaborazione. Lo so che non dovrei essere io a propormi, ma credo che sia meglio accelerare i tempi. Sull'argomento (pubblicità stradale violenta) ho realizzato forse il più grande archivio fotografico del mondo, in forma di scatti fotografici effettuati a Milano dal 1990 al 2013, e ho scritto un libro (naturalmente autoprodotto) dal titolo "Chi è il maestro del lupo cattivo?". Se ha bisogno di referenze sul mio conto può chiederle alla Ministra Emma Bonino che nel 2010 mi ha insignito di un premio proprio per questa mia attività di artista contro la violenza sulla donna. Il mio lavoro esiste sotto forma di archivio, di mostra fotografica, di seminari che svolgo presso le scuole e le cittadinanze di tutta Italia. Tutto ciò è a disposizione Sua e degli Organismi dello Stato che volessero finalmente intraprendere una seria attività di interdizione – innanzitutto culturale – di questo scempio vergognoso. Mi consideri a Sua disposizione. Grazie. Con autentica stima, Ico Gasparri - Milano.

* inviata al sito della Presidenza della Camera dei Deputati il 7/5/12

venerdì 19 aprile 2013

11.000 volte insieme. Per andare dove?


Stamattina ho guardato il contatore del blog: era fermo ostinatamente a 10.999 visite uniche. Sembrava non volesse andare più avanti dopo i salti dei giorni scorsi. Mi ha fatto riflettere. Mi ero chiesto già tante volte in precedenza chi foste, chi fossero tutte queste donne e uomini che dal Brasile, dall'Ucraina, dalla Germania, dagli USA, addirittura dalla Malesia, pochissimi dalla Francia e, naturalmente moltissimi dall'Italia, si collegavano per leggere le cose che scrivevo e le fotografie che postavo. Un numero interessante per un argomento così poco popolare: il rispetto dell'immagine della donna e, di conseguenza, anche dell'uomo che la guarda e, quindi, anche della società che ospita entrambi. Questa battaglia, se così la vogliamo chiamare, è scomoda assai perché richiede(rebbe) una presa in carico diretta e personale del problema: boicottare chi fa pubblicità violenta. IO NON COMPRO SESSISMO, appunto. Per molti significherebbe non avere più un telefonino, un certo tipo di detersivo, una linea di internet, un'automobile, forse. Per non parlare della biancheria intima, delle calze, dei trucchi e dei profumi, degli orologi e degli assorbenti preferiti. Una battaglia scomoda, fastidiosa anche per chi vorrebbe combatterla.
E davanti a quel 10.999 che non camminava mi sono chiesto come mai, nonostante fosse comunque un numero enorme, così fuori dalla mia modesta portata di artista indipendente e sconosciuto, non appartenente ai salotti buoni (e nemmeno a quelli scalcagnati) del giornalismo, né della televisione, né della politica e nemmeno di quelli della fotografia milanese che decide se esisti o meno, io NON provassi piacere, soddisfazione per l'impegno profuso e apparentemente riconosciuto da voi che mi leggete con costanza. Un numero che dovrebbe dirmi che sto facendo una cosa buona; un numero che corrisponde a undici volte la quantità di copie vendute dal mio libro sulla pubblicità stradale violenta pur senza avere un editore, una libreria, un pagamento di diritti d'autore, un finanziatore, una pubblicità. Un numero importante anche quello, se ci penso, 1.000 copie pagate una a una da persone sparse in tutta Italia che nemmeno conosco e che hanno ricevuto la loro copia in una busta postale con affrancatura di 1,28 euro a mio carico.
Non trovo il sollievo perché continuo a guardare senza raccontarmi balle quello che resta di questo paese-mai-nato, non mi dico che stiamo migliorando per farmi piacere. Continuo a sentire sempre uguali i silenzi assordanti delle amministrazioni cittadine che non accolgono questo tema con interesse reale e continuo a vedere tutti i giorni le stesse pubblicità sui muri della nostra città e della nostra metropolitana. E continuo a scrivere agli assessori e ai vertici dell'ATM milanese senza avere mai risposta. E continuo ancora a fotografare, ormai come un automa, forse per cercare una cura a me stesso, le scene peggiori che ci vengono imposte da queste signore e signori, sconvolto da un silenzio che dalle orecchie scava direttamente verso il cuore, lasciando buchi contorti e gelati. Buchi nei quali si insinuano come vermi velenosi immagini come questa, con una bambina fatta mettere in posa da adescatrice alla maniera delle sorelle adescatrici più grandi, accompagnata dal fratellino minore per addolcire la pillola. Ci guarda dalla macchinetta delle fototessera e ci sorride maliziosa. Ma io non ci trovo più niente da sorridere. Mi chiedo davanti a questo 11.000 – che finalmente ha ricominciato a camminare – dove stiamo andando. E non lo so. Ma una cosa la so: stando seduto col sedere sul gradino più basso, molto vicino al suolo, a quelli che si sentiranno in dovere di obiettare che questa bambina non ci sta adescando io rispondo in anticipo "fanculo!" 

mercoledì 17 aprile 2013

Volami in bocca



Dopo aver abbandonato il diversamente utile tavolo contro la pubblicità sessista del Comune di Milano (senza aver avuto finora risposte istituzionali) e dopo aver proposto ai vertici dell'ATM una discussione sull'istituzione di quella che ho chiamato una zona Sexism free all'interno della metropolitana milanese (proposta rimasta essa pure senza risposta), mi prendo un momento di pausa e torno a postare una riflessione sui contenuti delle campagne sessiste, scegliendone un'altra affissa in metropolitana in due varianti: una femminile e una maschile.
Si tratta di un messaggio che potremmo definire di livello 2, un livello cioè che potrebbe non essere percepito in tutti i suoi possibili risvolti sessisti e violenti passando velocemente in treno. Le due scene messe a confronto, inoltre, ci aiuteranno a capire meglio e a confermare alcune vecchie idee (v.post n.9 del 10/11/11) che a suo tempo erano state contestate di molti giovani lettori e lettrici del blog. 
Come già accaduto per un altro marchio di dentisti nel 2009 (v.sito del libro www.ilmaestrodellupocattivo.it  publ. vital dent) la presunta domanda di marketing strategico è: cosa ti metto in bocca per far capire che noi ripariamo i denti benissimo. In quel caso avevano messo in bocca a una casalinga (l'unica casalinga che io abbia visto e fotografato su un manifesto negli ultimi 23 anni a Milano) una borsa per la spesa, la terza, dopo avergliene piazzate altre due nelle rispettive mani. E la donna, anche così oscenamente conciata, continuava a sorridere e fare la spesa. 
In questa doppia campagna 2013 di Doctor Dentist il messaggio è invece legato al tema del viaggio e vengono scelti i due mezzi di trasporto che più di tutti evocano la vacanza: l'aereo e la nave da crociera con una scelta di modellini in scala che sopravvaluta nettamente il primo sul secondo. 
E a chi pensate che abbiano messo in bocca l'aereo? Naturalmente alla donna. Non avremmo – e non abbiamo – mai visto una fallica fusoliera nelle labbra del maschio. Ora, si potrà obiettare che la percezione di questa allusione fallica nella scena è la solita roba da maniaci sessuali (o da vetero-femministe, a scelta), che quelli che la pensano come me sono deviati, che è stato casuale ecc. ecc. Per fortuna, lo studio seriale della pubblicità sul lungo periodo ci offre un riparo da queste critiche, consentendoci di affermare con una buona dose di sicurezza che finora non si è ancora vista una pubblicità in cui questo tipo di allusioni – ammettendo anche che siano estreme e non dimenticandoci mai che sono sgradevoli comunque se applicate a finalità commerciali – siano rintracciabili tra le labbra di un uomo, nemmeno di quelli che si ispirano iconograficamente a modelli gay. Non c'è alternativa, la bocca in cui volare è sempre quella femminile. E se questo è l'imperativo... allora io volo in un altro studio dentistico. Il mondo è pieno di sorrisi.  

lunedì 8 aprile 2013

Lettera dolorosa e aperta ai vertici dell'ATM. Milano


Gentili Signore e Signori che rappresentate i vertici amministrativi, decisionali, politici – insomma il potere – all'interno della nostra azienda di trasporti milanesi ATM, salto tutti i possibili passaggi e scrivo direttamente a voi questa lettera aperta e dolorosa. 
Io ci ho provato in tanti modi, da solo, in gruppo, seduto ai tavoli istituzionali o seduto sul gradino più basso con le mani in testa: non so più come fare a sensibilizzare l'opinione pubblica e a produrre una lotta concreta su questo silenzioso stillicidio di pagine violente che imbrattano i nostri muri ed educano la nostra cittadinanza alla cultura della violenza fisica e morale, alla sottovalutazione, al ridimensionamento di quella parte vitale del genere umano che è rappresentato dalle donne e dalla parte femminile che tanti di uomini si portano orgogliosamente dentro. 
I muri della città sono pubblici e da anni mi rivolgo alle pubbliche amministrazioni per contrastare questo fenomeno ma senza risultato alcuno: rimangono ferme nel silenzio appiccicoso della burocrazia e di una coscienza troppo lenta. Ma anche le carrozze della metropolitana sono pubbliche e spesso siamo costretti a starci dentro in piedi, con la faccia incollata al soffitto e dobbiamo per forza guardare queste autentiche schifezze che ci fate trovare sulle carrozze. 
Lo so bene che ognuna e ognuno di voi quando si è trovato – ammesso che voi prendiate la metropolitana – davanti alla pubblicità che riporto in questo post e che ho fotografato due o tre giorni fa, oppure davanti alle altre centinaia che ogni anno ci fate trovare oltre i tornelli, abbia concepito pensieri simili ai miei di disprezzo, di preoccupazione, di allarme, ma poi siete tornat* alle vostre poltrone e avete lasciato il problema esattamente lì dove lo avete trovato. E così facendo le paginette di violenza continueranno ad arredare le nostre carrozze in eterno. 
In questi vent'anni ne ho fotografate decine e altre centinaia le ho lasciate partire dietro le porte a scorrimento lento. Lento come le vostre coscienze. Io non vi dò più tempo. Voglio che la vostra azienda, anzi, considerando chi paga i costi, dico la nostra azienda, scenda in campo con iniziative concrete, nate dall'interno, mirate e inflessibili, se volete con la mia consulenza gratuita, per impedire che altre pagine di incitamento alla violenza ci facciano compagnia ogni giorno di fermata in fermata. Sediamoci a un tavolo voi ed io: non ci servono altri esperti, mi prendo il rischio da solo, non ci servono altre intelligenze per decodificare una situazione tanto grave e lampante. Cominciamo a pretendere dalle aziende concessionarie della pubblicità sulle carrozze e nelle stazioni di attenersi a delle precise regole – che vi posso aiutare a studiare con l'aiuto dei vostri esperti interni legali – che impediscano definitivamente queste affissioni. Creiamo un'aria libera dalla violenza per immagini pubblicitarie almeno nel "regno dell'ATM", sarebbe una cosa straordinaria e unica: l'istituzione della prima area sexism free in una città. Non è questa le sede per i dettagli operativi. Questa è solo una lettera aperta. E dolorosa assai. Non ci serve altro: solo una coscienza meno lenta, una coscienza ad alta velocità. Io ci sono. Vi aspetto.  Ico Gasparri. artista sociale, fotografo. Milano 8 aprile 2013

martedì 26 marzo 2013

Un anno dopo la penna è ancora lì

A distanza di oltre un anno torno a scrivere per questo blog e contemporaneamente per la rubrica Le palafitte del blog delle Donne della realtà di Paola Ciccioli. Cosa aspettavo? Forse che potessi smettere di farlo. Sono però accadute alcune cose che mi hanno spinto a riaprire la pagina. Ne nomino almeno tre in ordine sparso, così come vengono a galla. 
È successo che ho visto la faccia e ho sentito la voce del non-mio presidente della Regione Lombardia signor maroni che ha proclamato trionfante una giunta di metà donne e metà uomini. La mistificazione della realtà e la truffa sulle idee in questo caso mi hanno nauseato, schifato. Non mi sono mai fatto impressionare dalle parole e ho sempre ricordato le storie di quelli che le pronunciavano, utilizzandole come un traduttore automatico. Allora le vomito sulla sua faccia queste menzogne. Il suo maschilismo e la comprovata arretratezza culturale non si lavano al mercato delle bugie. Non per me. Un'idea che non avevo comunque mai caldeggiato, quella della rappresentanza pari nel genere a prescindere dalle persone, finisce adesso addirittura nelle mani di chi gioca nel campo avverso. Che tuoni scuotono la mia terra.
Poi è successo che ho visto sciogliersi nell'inefficienza e nella vacuità il tavolo del comune di Milano convocato sporadicamente sulla pubblicità sessista. Un'esperienza inutile, gestita male, piena di niente, dalla quale ora mi dissocio pubblicamente. Quella che poteva essere una svolta è rimasta una curva, davanti a una strada senza sbocco. Punto e a capo. Suggerirei almeno di pronunciare un discreto Tutte a casa
Poi è successo che la lotta sulla pubblicità sessista – nonostante lo schifo cui siamo arrivati – non ha fatto un passo avanti e le strade di questa cazzo di città sono ancora sporche di cartaccia colorata di violenza e di sesso a bassa intensità morale. E in questo immutabile sistema le aziende continuano la loro camminata a testa alta sulle nostre di teste e continuano a rifiutare il confronto.
È con questo retroterra di pensieri non certo sereni che mi sono rimesso a fare interviste alle aziende che costruiscono pagine di violenza e ne pubblico una, relativa alla campagna riprodotta in alto e sottoposta al responsabile marketing della TUCANO, rimasta senza risposta perché "dopo aver letto l'intervista ed averla condivisa in azienda con altri interessati le confermo che preferiamo non prestarci a nessuna intervista né scritta né orale" Non sapevo che alle interviste ci si prestasse. Magari si potrebbe rispondere. Eccola:

Domande poste l'8 marzo 2013

  1. In merito ai cartelloni stradali di recente apparsi a Milano (da me osservati in metropolitana) per la vostra campagna TECH IN COLOR vorrei chiederle innanzitutto perché avete deciso di utilizzare singolarmente una figura femminile e poi una maschile in un contesto non ambientato.
  2. Perché avete “tagliato” le teste alle due figure?
  3. Perché le avete “tagliate” in maniera differenziata, lasciando parte del naso all'uomo mentre alla donna rimane solo la bocca?
  4. Perché la bocca dell'uomo è chiusa e quella della donna aperta?
  5. Perché la donna sembra rivolta a noi mentre l’uomo avanza con fare sicuro senza guardarci?
  6. Perché la donna ha una minigonna così esagerata?
  7. Perché alla donna è chiesto di assumere una posizione del corpo tale da mettere esageratamente in mostra il sedere, mentre all'uomo è stato coperto il sedere con il prodotto?
  8. Perché all'uomo è chiesto di portare una borsa con PC che ci appare più pesante mentre alla donna è affidato un I-pad più leggero?
  9. Perché la donna si limita a reggere/esporre il prodotto in maniera piuttosto innaturale mentre l’uomo è rappresentato come attivo, nell’atto di svolgere una funzione credibile (guardare il suo cellulare e correre/camminare con decisione)?
  10. Perché la marca è inserita in quel punto in basso a destra in cui, nella versione femminile, viene a trovarsi molto in prossimità del sedere e sulle gambe della donna?
  11. Non c'era un altro posto dove inserire la marca?
  12. Perché i colori di sfondo della donna sono più accesi e quelli dell’uomo più tenui?
  13. Perché le calze e il maglione della donna riprendono i colori dello sfondo?
  14. Questa campagna nasce da un'idea dell'azienda o dell’agenzia incaricata oppure da una condivisione e in che percentuale grosso modo è stata decisa l’idea guida di utilizzare in questo modo l’immagine della donna?
  15. Quante persone hanno partecipato a questo progetto a vario titolo?
  16. C’è qualche funzione nell’azienda che ha voluto fortemente questo tipo di messaggio?
  17. Ci sono state all’interno dell’azienda voci discordanti sull’uso di questo tipo di immagine della donna?
  18. Avete ricevuto finora lamentele in proposito?
  19. Che cosa farebbe l'azienda se pervenissero delle proteste di cittadine/i e consumatori/trici sui contenuti di questa campagna ritenuta eventualmente discriminanti nei confronti delle donne?
  20. Che cosa farebbe l’azienda nel caso in cui alcuni clienti decidessero di sospendere gli acquisti dei vostri prodotti dopo aver visto questa pubblicità, in attesa di campagne più rispettose?
  21. Ritirereste la pubblicità?
  22. Scrivereste un comunicato in proposito?
  23. Per il futuro continuerete a seguire una linea differenziata per genere e penalizzante nei confronti della donna come a noi appare questa TECH IN COLOR?
  24. L’azienda è al corrente che in Italia è sempre più forte il movimento di opinione che chiede un trattamento più rispettoso dell’immagine della donna in pubblicità e nei media?
  25. Siete d’accordo?
  26. Non trova/te che la versione femminile (anche da sola ma ancora più se paragonata a quella maschile) di questa campagna vada in direzione contraria a queste aspettative del pubblico e dei/lle consumatori/trici?

  26/3/13