venerdì 19 aprile 2013

11.000 volte insieme. Per andare dove?


Stamattina ho guardato il contatore del blog: era fermo ostinatamente a 10.999 visite uniche. Sembrava non volesse andare più avanti dopo i salti dei giorni scorsi. Mi ha fatto riflettere. Mi ero chiesto già tante volte in precedenza chi foste, chi fossero tutte queste donne e uomini che dal Brasile, dall'Ucraina, dalla Germania, dagli USA, addirittura dalla Malesia, pochissimi dalla Francia e, naturalmente moltissimi dall'Italia, si collegavano per leggere le cose che scrivevo e le fotografie che postavo. Un numero interessante per un argomento così poco popolare: il rispetto dell'immagine della donna e, di conseguenza, anche dell'uomo che la guarda e, quindi, anche della società che ospita entrambi. Questa battaglia, se così la vogliamo chiamare, è scomoda assai perché richiede(rebbe) una presa in carico diretta e personale del problema: boicottare chi fa pubblicità violenta. IO NON COMPRO SESSISMO, appunto. Per molti significherebbe non avere più un telefonino, un certo tipo di detersivo, una linea di internet, un'automobile, forse. Per non parlare della biancheria intima, delle calze, dei trucchi e dei profumi, degli orologi e degli assorbenti preferiti. Una battaglia scomoda, fastidiosa anche per chi vorrebbe combatterla.
E davanti a quel 10.999 che non camminava mi sono chiesto come mai, nonostante fosse comunque un numero enorme, così fuori dalla mia modesta portata di artista indipendente e sconosciuto, non appartenente ai salotti buoni (e nemmeno a quelli scalcagnati) del giornalismo, né della televisione, né della politica e nemmeno di quelli della fotografia milanese che decide se esisti o meno, io NON provassi piacere, soddisfazione per l'impegno profuso e apparentemente riconosciuto da voi che mi leggete con costanza. Un numero che dovrebbe dirmi che sto facendo una cosa buona; un numero che corrisponde a undici volte la quantità di copie vendute dal mio libro sulla pubblicità stradale violenta pur senza avere un editore, una libreria, un pagamento di diritti d'autore, un finanziatore, una pubblicità. Un numero importante anche quello, se ci penso, 1.000 copie pagate una a una da persone sparse in tutta Italia che nemmeno conosco e che hanno ricevuto la loro copia in una busta postale con affrancatura di 1,28 euro a mio carico.
Non trovo il sollievo perché continuo a guardare senza raccontarmi balle quello che resta di questo paese-mai-nato, non mi dico che stiamo migliorando per farmi piacere. Continuo a sentire sempre uguali i silenzi assordanti delle amministrazioni cittadine che non accolgono questo tema con interesse reale e continuo a vedere tutti i giorni le stesse pubblicità sui muri della nostra città e della nostra metropolitana. E continuo a scrivere agli assessori e ai vertici dell'ATM milanese senza avere mai risposta. E continuo ancora a fotografare, ormai come un automa, forse per cercare una cura a me stesso, le scene peggiori che ci vengono imposte da queste signore e signori, sconvolto da un silenzio che dalle orecchie scava direttamente verso il cuore, lasciando buchi contorti e gelati. Buchi nei quali si insinuano come vermi velenosi immagini come questa, con una bambina fatta mettere in posa da adescatrice alla maniera delle sorelle adescatrici più grandi, accompagnata dal fratellino minore per addolcire la pillola. Ci guarda dalla macchinetta delle fototessera e ci sorride maliziosa. Ma io non ci trovo più niente da sorridere. Mi chiedo davanti a questo 11.000 – che finalmente ha ricominciato a camminare – dove stiamo andando. E non lo so. Ma una cosa la so: stando seduto col sedere sul gradino più basso, molto vicino al suolo, a quelli che si sentiranno in dovere di obiettare che questa bambina non ci sta adescando io rispondo in anticipo "fanculo!" 

mercoledì 17 aprile 2013

Volami in bocca



Dopo aver abbandonato il diversamente utile tavolo contro la pubblicità sessista del Comune di Milano (senza aver avuto finora risposte istituzionali) e dopo aver proposto ai vertici dell'ATM una discussione sull'istituzione di quella che ho chiamato una zona Sexism free all'interno della metropolitana milanese (proposta rimasta essa pure senza risposta), mi prendo un momento di pausa e torno a postare una riflessione sui contenuti delle campagne sessiste, scegliendone un'altra affissa in metropolitana in due varianti: una femminile e una maschile.
Si tratta di un messaggio che potremmo definire di livello 2, un livello cioè che potrebbe non essere percepito in tutti i suoi possibili risvolti sessisti e violenti passando velocemente in treno. Le due scene messe a confronto, inoltre, ci aiuteranno a capire meglio e a confermare alcune vecchie idee (v.post n.9 del 10/11/11) che a suo tempo erano state contestate di molti giovani lettori e lettrici del blog. 
Come già accaduto per un altro marchio di dentisti nel 2009 (v.sito del libro www.ilmaestrodellupocattivo.it  publ. vital dent) la presunta domanda di marketing strategico è: cosa ti metto in bocca per far capire che noi ripariamo i denti benissimo. In quel caso avevano messo in bocca a una casalinga (l'unica casalinga che io abbia visto e fotografato su un manifesto negli ultimi 23 anni a Milano) una borsa per la spesa, la terza, dopo avergliene piazzate altre due nelle rispettive mani. E la donna, anche così oscenamente conciata, continuava a sorridere e fare la spesa. 
In questa doppia campagna 2013 di Doctor Dentist il messaggio è invece legato al tema del viaggio e vengono scelti i due mezzi di trasporto che più di tutti evocano la vacanza: l'aereo e la nave da crociera con una scelta di modellini in scala che sopravvaluta nettamente il primo sul secondo. 
E a chi pensate che abbiano messo in bocca l'aereo? Naturalmente alla donna. Non avremmo – e non abbiamo – mai visto una fallica fusoliera nelle labbra del maschio. Ora, si potrà obiettare che la percezione di questa allusione fallica nella scena è la solita roba da maniaci sessuali (o da vetero-femministe, a scelta), che quelli che la pensano come me sono deviati, che è stato casuale ecc. ecc. Per fortuna, lo studio seriale della pubblicità sul lungo periodo ci offre un riparo da queste critiche, consentendoci di affermare con una buona dose di sicurezza che finora non si è ancora vista una pubblicità in cui questo tipo di allusioni – ammettendo anche che siano estreme e non dimenticandoci mai che sono sgradevoli comunque se applicate a finalità commerciali – siano rintracciabili tra le labbra di un uomo, nemmeno di quelli che si ispirano iconograficamente a modelli gay. Non c'è alternativa, la bocca in cui volare è sempre quella femminile. E se questo è l'imperativo... allora io volo in un altro studio dentistico. Il mondo è pieno di sorrisi.  

lunedì 8 aprile 2013

Lettera dolorosa e aperta ai vertici dell'ATM. Milano


Gentili Signore e Signori che rappresentate i vertici amministrativi, decisionali, politici – insomma il potere – all'interno della nostra azienda di trasporti milanesi ATM, salto tutti i possibili passaggi e scrivo direttamente a voi questa lettera aperta e dolorosa. 
Io ci ho provato in tanti modi, da solo, in gruppo, seduto ai tavoli istituzionali o seduto sul gradino più basso con le mani in testa: non so più come fare a sensibilizzare l'opinione pubblica e a produrre una lotta concreta su questo silenzioso stillicidio di pagine violente che imbrattano i nostri muri ed educano la nostra cittadinanza alla cultura della violenza fisica e morale, alla sottovalutazione, al ridimensionamento di quella parte vitale del genere umano che è rappresentato dalle donne e dalla parte femminile che tanti di uomini si portano orgogliosamente dentro. 
I muri della città sono pubblici e da anni mi rivolgo alle pubbliche amministrazioni per contrastare questo fenomeno ma senza risultato alcuno: rimangono ferme nel silenzio appiccicoso della burocrazia e di una coscienza troppo lenta. Ma anche le carrozze della metropolitana sono pubbliche e spesso siamo costretti a starci dentro in piedi, con la faccia incollata al soffitto e dobbiamo per forza guardare queste autentiche schifezze che ci fate trovare sulle carrozze. 
Lo so bene che ognuna e ognuno di voi quando si è trovato – ammesso che voi prendiate la metropolitana – davanti alla pubblicità che riporto in questo post e che ho fotografato due o tre giorni fa, oppure davanti alle altre centinaia che ogni anno ci fate trovare oltre i tornelli, abbia concepito pensieri simili ai miei di disprezzo, di preoccupazione, di allarme, ma poi siete tornat* alle vostre poltrone e avete lasciato il problema esattamente lì dove lo avete trovato. E così facendo le paginette di violenza continueranno ad arredare le nostre carrozze in eterno. 
In questi vent'anni ne ho fotografate decine e altre centinaia le ho lasciate partire dietro le porte a scorrimento lento. Lento come le vostre coscienze. Io non vi dò più tempo. Voglio che la vostra azienda, anzi, considerando chi paga i costi, dico la nostra azienda, scenda in campo con iniziative concrete, nate dall'interno, mirate e inflessibili, se volete con la mia consulenza gratuita, per impedire che altre pagine di incitamento alla violenza ci facciano compagnia ogni giorno di fermata in fermata. Sediamoci a un tavolo voi ed io: non ci servono altri esperti, mi prendo il rischio da solo, non ci servono altre intelligenze per decodificare una situazione tanto grave e lampante. Cominciamo a pretendere dalle aziende concessionarie della pubblicità sulle carrozze e nelle stazioni di attenersi a delle precise regole – che vi posso aiutare a studiare con l'aiuto dei vostri esperti interni legali – che impediscano definitivamente queste affissioni. Creiamo un'aria libera dalla violenza per immagini pubblicitarie almeno nel "regno dell'ATM", sarebbe una cosa straordinaria e unica: l'istituzione della prima area sexism free in una città. Non è questa le sede per i dettagli operativi. Questa è solo una lettera aperta. E dolorosa assai. Non ci serve altro: solo una coscienza meno lenta, una coscienza ad alta velocità. Io ci sono. Vi aspetto.  Ico Gasparri. artista sociale, fotografo. Milano 8 aprile 2013