lunedì 8 aprile 2013

Lettera dolorosa e aperta ai vertici dell'ATM. Milano


Gentili Signore e Signori che rappresentate i vertici amministrativi, decisionali, politici – insomma il potere – all'interno della nostra azienda di trasporti milanesi ATM, salto tutti i possibili passaggi e scrivo direttamente a voi questa lettera aperta e dolorosa. 
Io ci ho provato in tanti modi, da solo, in gruppo, seduto ai tavoli istituzionali o seduto sul gradino più basso con le mani in testa: non so più come fare a sensibilizzare l'opinione pubblica e a produrre una lotta concreta su questo silenzioso stillicidio di pagine violente che imbrattano i nostri muri ed educano la nostra cittadinanza alla cultura della violenza fisica e morale, alla sottovalutazione, al ridimensionamento di quella parte vitale del genere umano che è rappresentato dalle donne e dalla parte femminile che tanti di uomini si portano orgogliosamente dentro. 
I muri della città sono pubblici e da anni mi rivolgo alle pubbliche amministrazioni per contrastare questo fenomeno ma senza risultato alcuno: rimangono ferme nel silenzio appiccicoso della burocrazia e di una coscienza troppo lenta. Ma anche le carrozze della metropolitana sono pubbliche e spesso siamo costretti a starci dentro in piedi, con la faccia incollata al soffitto e dobbiamo per forza guardare queste autentiche schifezze che ci fate trovare sulle carrozze. 
Lo so bene che ognuna e ognuno di voi quando si è trovato – ammesso che voi prendiate la metropolitana – davanti alla pubblicità che riporto in questo post e che ho fotografato due o tre giorni fa, oppure davanti alle altre centinaia che ogni anno ci fate trovare oltre i tornelli, abbia concepito pensieri simili ai miei di disprezzo, di preoccupazione, di allarme, ma poi siete tornat* alle vostre poltrone e avete lasciato il problema esattamente lì dove lo avete trovato. E così facendo le paginette di violenza continueranno ad arredare le nostre carrozze in eterno. 
In questi vent'anni ne ho fotografate decine e altre centinaia le ho lasciate partire dietro le porte a scorrimento lento. Lento come le vostre coscienze. Io non vi dò più tempo. Voglio che la vostra azienda, anzi, considerando chi paga i costi, dico la nostra azienda, scenda in campo con iniziative concrete, nate dall'interno, mirate e inflessibili, se volete con la mia consulenza gratuita, per impedire che altre pagine di incitamento alla violenza ci facciano compagnia ogni giorno di fermata in fermata. Sediamoci a un tavolo voi ed io: non ci servono altri esperti, mi prendo il rischio da solo, non ci servono altre intelligenze per decodificare una situazione tanto grave e lampante. Cominciamo a pretendere dalle aziende concessionarie della pubblicità sulle carrozze e nelle stazioni di attenersi a delle precise regole – che vi posso aiutare a studiare con l'aiuto dei vostri esperti interni legali – che impediscano definitivamente queste affissioni. Creiamo un'aria libera dalla violenza per immagini pubblicitarie almeno nel "regno dell'ATM", sarebbe una cosa straordinaria e unica: l'istituzione della prima area sexism free in una città. Non è questa le sede per i dettagli operativi. Questa è solo una lettera aperta. E dolorosa assai. Non ci serve altro: solo una coscienza meno lenta, una coscienza ad alta velocità. Io ci sono. Vi aspetto.  Ico Gasparri. artista sociale, fotografo. Milano 8 aprile 2013

8 commenti:

  1. Possiamo copiarla e inviarla all'ATAC?

    RispondiElimina
  2. ma certo che potete, è una lettera aperta e un dolore nazionale. Grazi se restiamo uniti

    RispondiElimina
  3. Io non ho capito quest'affermazione "educano la nostra cittadinanza alla cultura della violenza fisica e morale, alla sottovalutazione, al ridimensionamento di quella parte vitale del genere umano che è rappresentato dalle donne e dalla parte femminile che tanti di uomini si portano orgogliosamente dentro". Non l'ho capita perché in quell'immagine non è rappresentata una scena di violenza, ma anche se fosse rappresentata una scena di violenza la risposta a uno stimolo non è passiva e non porta automaticamente all'imitazione, ma è mediata da una certa resistenza dei destinatari del messaggio. E può essere interpretata.

    Quindi, se c'è paura che vedendo una scena sessualmente eccitante si producano negli uomini la credenza che le donne sono tutte fissate col desiderio sessuale nei confronti degli uomini e porti a stuprarle, è solo una possibilità. E non si può certo accusare chi produce certe immagini di giustificare, legittimare o istigare allo stupro. Questa è un'accusa grave.

    RispondiElimina
  4. Davanti a un'argomentazione del genere posso solo pensare che lei sia un pubblicitario o una pubblicitaria (il che mi preoccuperebbe ancora di più) che sta cercando di difendere malamente una categoria. Se, invece, non capisce davvero la frase, la invito se ha pazienza di venire a seguire una delle mie lezioni in cui cerco di parlare proprio di questo e spero di poter soddisfare la curiosità. Comunque non saranno più pubblicati interventi senza nome e cognome dell'autore/autrice. Io ci metto la faccia. Mettetecela pure voi. Grazie

    RispondiElimina
  5. E cosa cambierebbe col nome e cognome? un argomento è vero o falso indipendentemente da chi lo dice. E chi commenta non può partire solo per avere una risposta. Magari ci si trova a 13 ore di treno, e uno dovrebbe fare 13 ore per avere una risposta?

    RispondiElimina
  6. no certo non le chiederei questo e, soprattutto, io non devo convincere nessuno. L'argomento ovviamente io lo ritengo concreto e appartenente a un discorso ben più articolato di quanto si possa fare in uno scarno botta e risposta. Se non riesce a fare 13 ore di treno – e non glielo chiederei mai – potrebbe cominciare a sgombrare la sua mente da posizioni di parte (che evidentemente sostiene anche senza dichiararsi) e cercare di ascoltare, studiare, cercare di capire le ragioni degli altri, non per accettarle supinamente ma per aprire l'orizzonte del suo pensiero a qualcosa che le è sembrata strana ma migliaia e migliaia di persone ritengono perfettamente vera. Il fatt oche lei sua un/una pubblicitaria non significa che non possa essere contro la "cultura della violenza sulla donna attraverso la pubblicità stradale". Io studio questo fenomeno da 23 anni e non ho alcun interesse da difendere. Non ci ho mai guadagnato una lira e molte ne ho spese. Se vuole approfondire il mio punto di vista può andare al mio sito o agli altri due blog che facilemnte può trovare nei contatti del mio sito. Speriamo di discutere di pensiero e non di posizioni.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. il blog lo leggerò, comprerò anche il libro! ma vorrei chiarire che io ho tentato di discutere di pensiero e non di posizioni, ma non ho ricevuto risposta sulle mie obiezioni.

      Elimina
  7. gentile signore, come avevo immaginato lei stava soltanto difendendo una categoria. Credevo quella dei pubblicitari ma scopro, leggendo il suo blog, che si tratta di un fotografo di professione con tanto di scritti sulle fotomodelle, i soldi, ecc.. Dai contenuti dei testi che ho letto credo che le nostre posizioni siano davvero lontanissime e difficilmente confrontabili. Per cui mi astengo da andare oltre per motivi di tempo. Ciò non significa, tuttavia, che non voglia spiegarle le mie posizioni: ritengo anzi di averlo già fatto in maniera molto estesa e per fare ciò ho scritto 240 pagine di testo e aperto tre blog. Mi sembra abbastanza. Buona lettura. Io mi fermo qui.

    RispondiElimina