domenica 11 febbraio 2018

I bambini ci guardano. Male!



Provo a commentare questo fatto di cronaca napoletana attraverso le parole di un articolo che lo descrive, approfittando per esprimere i miei commenti in merito ad entrambi, articolo e fatto.
L'articolo riportato in colore nero è di Attilio Iannuzzo ed è apparso su Il Mattino on line di Napoli il 9 febbraio 2018. In rosso corsivo le mie considerazioni.
Napoli, è bufera sullo spot davanti all’ospedale dei bambini: «Pubblicità oscena, intervenga l’Authority»
Innanzitutto analizziamo i termini utilizzati nel titolo: bufera.
La percezione che si ha leggendo questi ed altri episodici articoli di giornale che si occupano di questi fatti (sempre trattati come fatti di cronaca e non di cultura nazionale) è che ci sia un reale sommovimento in città – Napoli, Roma o Milano non importa –, che la città sia colpita addirittura da una "bufera". Chi si occupa di queste faccende sa benissimo che ciò non è assolutamente vero. La città di Napoli, come le altre, ospita centinaia di migliaia di abitanti che hanno tollerato migliaia di campagne violente e sessiste per decine di anni senza dire praticamente niente. Una piccola, piccolissima, minuscola quantità di questi abitanti, essenzialmente donne, ha protestato negli anni per alcune campagne che si presentavano assai eloquenti, esplicite e violente (ricordiamo per tutte quella di Relish con i poliziotti che fermavano le due ragazze e le molestavano pesantemente), senza sollevare bufere mentre sul grattacielo di fronte a quella campeggiava una pubblicità con due donne che si accingevano a succhiare, eroticamente esaltate, la testa di due grossi serpenti che avvolgevano il loro corpo. Queste centinaia di migliaia di persone fingono di non vedere i milioni di metri quadrati di istigazione alla violenza comparsi su Via Marina e altre strade tutti i giorni per anni. Anche nel caso odierno, sono sicuro che se andassi in giro per Napoli oggi o domani potrei fotografare venti o trenta campagne sessiste contemporaneamente affisse, forse più violente e velenose di questa, ma forse meno facilmente percepibili (ieri 9 febbraio 2018 in Piazza Garibaldi per esempio ho visto troneggiare su un palazzo, a destra della stazione uscendo, un grandissimo cartellone con una campagna non meno violenta di questa e non ho letto niente in proposito). Quindi: attenzione alla parola "bufera", dà l'impressione che le masse si agitino. Non è ancora vero!

"Pubblicità oscena". Alcuni anni fa sono stato invitato in un centro anti-violenza di Ravenna proprio per discutere del linguaggio dei media in merito alle cronache di stupro e violenza sulle donne. L'argomento era il lessico, il vocabolario, le accezioni delle parole nella lingua comune e il loro uso per descrivere fatti e fenomeni di violenza. Alla luce di quelle e di altre considerazioni linguistiche succedutesi negli anni in convegni e seminari, appare evidente che  "osceno" non è l'aggettivo adatto per questa scena. Essa è violenta, non oscena. "Oscena", "osé", "piccante", "provocante", "spinta" sono alcuni dei tanti modi di esprimersi per generare consapevolmente o inconsapevolmente (non so cosa sia peggio!) una forma di indulgenza, di tolleranza compiacente e cameratesca davanti al dilagare di culture e atteggiamenti maschilisti e discriminanti affermatesi nel corso di questi ultimi 30 anni e forse patrimonio dell'intera nostra nazione da lunghissimo tempo. Questa scena non esprime oscenità: esprime piuttosto una ben radicata cultura maschilista e violenta italiana non più tollerabile e non più confinabile nel mondo dei sorrisetti e dei colpi di gomito tra amici.

"Intervenga l'authority". Di cosa stiamo veramente parlando? Esiste un'autorità pubblica, cioè istituzionale, con poteri reali e codificati che possa intervenire per far rimuovere da spazi pubblici (e da quelli in concessione a privati?) un'affissione pubblicitaria sulla base di una valutazione legata ai concetti di violenza, discriminazione sessista, omofobia e simili? Fortunatamente no! Mi sono già più volte espresso sulla contrarietà mia personale all'istituzione di tale organismo e più volte mi sono dichiarato contrario nel ricorrere ad istituzioni private che si sono autocandidate a svolgere questa attività. A Napoli esiste un tavolo inter-assessorile per le Pari Opportunità che si è occupato di questo manifesto facendo scaturire, se ho capito bene, l'ordinanza sindacale di rimozione. Questa è una cosa civile, di buonissima volontà, ma i problemi sono tantissimi: questo tavolo è attivo in base a quale regolamento? In base a quali analisi delle immagini, inoppugnabile in termini di legge, si emette questa ordinanza? E se l'azienda denuncia il sindaco, avrà torto sicuramente? E cosa significa per il cittadino, a questo punto, dopo la rimozione di oggi, trovarsi di fronte a tutte le altre migliaia di manifesti sessisti che annualmente NON vengono rimossi? Penserà che sono giusti, visibili, corretti! Il tema della censura, come si capisce, è scivolosissimo e andrebbe trattato in maniera esaustiva tra addetti ai lavori realmente informati del problema e delle tante considerazioni connesse. Tuttavia, di fronte ad eventuali regolamenti di impossibile attuazione (chi misura e giudica la violenza, il sessismo, gli stereotipi, i gesti? e in base a quali parametri?) sono dell'idea che le strade da percorrere siano ben diverse ed essenzialmente di cultura e formazione civile.  

Non è la solita pubblicità.

Invece sì! È proprio la solita pubblicità! Con attori e marche diverse, ma si iscrive esattamente nello stesso libro della violenza di migliaia di altre passate, presenti e molto probabilmente future.

Soprattutto quando viene collocata davanti un ospedale, il Pausilipon.

Passiamo alla questione della collocazione: "davanti all'ospedale dei bambini". Come già in un'altra occasione di protesta di pochi anni fa per manifesti apparsi davanti a una scuola elementare di Milano, qualsiasi persona di buon senso si starà chiedendo perché la cosa dovrebbe apparire più grave in virtù del fatto che la campagna sia affissa davanti all'ospedale. I bambini e le bambine degenti sono colpiti dal messaggio solo se sta davanti all'ospedale? E se fosse lungo la strada per arrivare all'ospedale o lungo quella per tornare guariti a casa sarebbe meno grave? È evidente quindi che non è una questione di luogo di affissione e mi chiedo cos'è questa visione pietistica e bigotta della realtà? La cosa è grave e basta. Per tutti, tutte, dovunque e sempre. Tuttavia, si impone un'altra riflessione: sarebbe scoppiata la "bufera" se lo stesso manifesto fosse stato affisso in via Marina o altrove e non davanti ad un ospedale, per giunta per bambini? La stessa ditta produttrice ci informa che ne hanno affissi ben 200 in città che, calcolando una superficie di 6x3 m ciascuno, cioè 18mq, fa 3.600 metri quadrati di immagine violenta passati nel silenzio prima di questo dell'ospedale. Voglio solo sperare che l'ospedale sia stato solo il pretesto e non il vero problema.  

Artefice della propaganda un’azienda di articoli sportivi. Un uomo prende con la mano sinistra i capelli di una donna, tirandoli con fare violento, l’altra mano poggiata sull'anca. I due sono nudi e tatuati.

Il problema della pubblicità sessista, come più volte dimostrato, non è mai collegato alla nudità e, ancor meno ai tatuaggi che non capisco in che modo debbano destare la nostra attenzione. Forse che uno o due persone tatuate appartengano a nuove categorie di "diversi" da additare alle folle?

Il rammarico di numerosi genitori, che lottando con le proprie sofferenze e quelle dei figli devono ogni giorno sfiorare con lo sguardo immagini volgari,

Come detto prima, le parole sono importanti e possono orientare il lettore verso considerazioni più o meno accondiscendenti. "Volgare" è meno grave di violento, di sessista. Quindi, facciamoci coraggio diciamo che questa azienda e questi pubblicitari e anche i loro consumatori e consumatrici che acquisteranno il prodotto(?) stanno scrivendo pagine di violenza contro la donna, non pagine di volgarità.
Alcuni potrebbero chiedere perché? Si tratta di due che fanno l'amore, che male c'è? Siamo arcaici e bacchettoni? E qui la cosa si complica. A ben vedere, in effetti, la scena – ambientata in un caratteristico non-spazio pubblicitario scadente – ci mostra, dal punto di vista iconografico, un uomo e una donna nudi che fanno l'amore con lui dietro e lei davanti di spalle. Un momento erotico reale, probabile, di due che simulano di farlo davvero, dove lei sembra addirittura contenta, nella solita estasi pre-orgasmica della pubblicità sessista. Cos'è che non va? Cos'è che mi spinge a dire che siamo di fronte a un'immagine violenta? Diversi elementi.
Innanzitutto siamo di fronte a una fotografia pubblicitaria per la vendita e non ad una foto dell'album privato dei due. E questo basterebbe già a spiegare i miei motivi di avversione. Ma mi spiego meglio.
A causa di ciò, cioè a causa del posizionamento su una fotografia qualunque di un nome di marca, di un brand, di uno slogan, la stessa foto smette di essere un ricordo erotico privato e diventa un veicolo di marketing, uno strumento per attuare quelle tecniche che prevedono l'utilizzo di stereotipi, modelli, schemi facilmente comprensibili, diretti e convincenti ai quali il pubblico dovrebbe affezionarsi e correre ad acquistare. E questi stereotipi sono violenti e sessisti perché l'espressione dell'uomo non è in sintonia con quella della donna. Le mani di lui afferrano capelli e fianchi, lo sguardo è di conquista e dominio, non di complicità E questa è iconografia, non una mia opinione. L'uomo non sta amando quella donna ma le sta facendo l'amore addosso. Ecco dov'è la violenza che viene raccontata a quei bambini davanti all'ospedale. I due non si amano, ma lui prende lei. Parola di maschio adulto!

mai come in questo caso fuori luogo.

No, caro Iannuzzo, tutte le immagini violente e sessiste sono "fuori luogo" (altra espressione indulgente), non solo questa.

«Possibile che il Comune di Napoli – scrive Alessandra sui social – debba consentire questa vergogna? Sotto l’ospedale Pausilipon? Nessuno dice o si accorge di nulla?». Alla valanga di polemiche su pubblicità in città

La bufera si è trasformata addirittura in "valanga"

c’è chi fa sconti all'Amministrazione Comunale additando gli Organi di garanzia: «Più che il Comune di Napoli - dice un residente - dovrebbe essere l’Authority ad intervenire, ma in questa città tutti fanno quello che vogliono».

Ottimo rinforzo da parte del giornalista per una visione qualunquista del problema e della funzione stessa della partecipazione di questo cittadino che certamente non avrà mai mosso un dito per cambiare questo "tutti fanno quello che vogliono"

«Il Comune proceda immediatamente alla rimozione del manifesto »incriminato«. È un atto dovuto per le immagini che contiene e per il messaggio sbagliato che dà, ma anche una forma di rispetto per la sofferenza dei minori ricoverati all'ospedale pediatrico partenopeo, Pausilipon -Santobono e dei loro familiari».

Fin qui vale quanto detto sopra, con affetto nei confronti dei piccoli degenti, naturalmente, e dei loro genitori e dei loro fratelli e delle loro sorelle e dei passanti  e dei vigili urbani e degli operatori ecologici e dei negozianti circostanti e dei turisti ecc.

È quanto auspica Mara Carfagna, deputato e consigliere comunale a Napoli per Forza Italia in merito al manifesto pubblicitario dai contenuti osé

Ancora questa espressione "osé" datata e indulgente che compare sulla stampa frequentemente.

affisso dinanzi al polo ospedaliero partenopeo. «Le pareti delle nostre città - dice - non possono essere utilizzate senza criterio, né controllo. Ecco perché il governo di centrodestra, quando ero ministro, aveva stipulato un accordo tra Dipartimento per le Pari Opportunità e l'istituto per l' Autodisciplina Pubblicitaria che consentiva il ritiro di campagne pubblicitarie violente o sessiste nel giro di pochissimo tempo. Pensiamo che quello strumento debba essere utilizzato più e meglio di quanto sia stato fatto in questi anni».Venerdì 9 Febbraio 2018, 11:51

Qui occorre un intervento di restauro della realtà perché altrimenti tutto diventa verità e questo non ce lo possiamo più permettere. La persona cui viene chiesto il parere – scelta piuttosto discutibile nel panorama composto di centinaia di donne che anche a Napoli si battono tutti i giorni contro la violenza in strutture e associazioni – ha rappresentato per milioni di italiani e di italiane esattamente il simbolo di quel sessismo che vorremmo combattere anche nella pubblicità, impersonando mirabilmente la figura della donna in politica agli ordini del maschio. La realtà che descrive operativamente non è mai esistita e io ne sono testimone e mi assumo le responsabilità dei ricordi che espongo. La tanto sbandierata attività di governo – che in quanto governo di centrodestra non sarebbe forse neanche tenuto ad occuparsi dei diritti delle donne, ma questa è un'appassionante discussione da rinviare ad altra sede – non ha dato alcun risultato concreto (come tutt* possiamo vedere) e nemmeno immaginario: è stata una triste pagina di propaganda portata avanti da persone che evidentemente non conoscevano il problema, tanto da immaginare una possibilità normativa per un problema che è culturale e millenario e non si può certo rinchiudere in alcun regolamento, né comunale né di governo. Inoltre, l'istituto di cui si parla sopra è un organismo privato composto da pubblicitari privati che da anni avrebbero dovuto autogovernarsi e non solo non lo hanno fatto, ma si sono "distratti" all'apparire di interi nuovi filoni di pubblicità, come l'introduzione di modelle bambine già sessualizzate e assimilate alle immagini delle modelle adulte che sono divenute intanto sempre più esplicite nei loro richiami alla sottomissione sessuale e all'oggettivazione della donna, come dimostra la donna tirata per i capelli del manifesto in oggetto. Le pubblicità in questi anni hanno continuato ad ammorbare gli spazi collettivi delle nostre città, diventando sempre più violente e sessiste. Zero inversioni di tendenza. Zero risultati reali. Zero tempi brevi. Zero campagne di sensibilizzazione popolari e diffuse. Zero atteggiamenti di consumo critico, per carità, vogliamo bloccare l'economia? Tutto si è limitato a qualche rarissimo intervento di tardiva eliminazione di alcune campagne assai esplicite (e quindi facilmente identificabili) nel mare magno di immagini violente che – anche sul palazzo di fronte a quella di cui si discute oggi – hanno continuato ad esistere indisturbate.
A questo punto dopo aver scoperto l'esistenza di questa ditta ERICK EVANS sarò ben lieto di rivolgere altrove i miei acquisti in materia di sport. Il mondo è pieno di magliette per correre. E anche per stare fermi!