mercoledì 18 dicembre 2013

UN LIBRO A NATALE È BUONO (per sostenere la sostenibilità, come dice mio fratello Pino).


Quando ho pensato per la prima volta di pubblicare un libro che raccogliesse le foto più significative del mio lavoro... era tanti anni fa. Non era stata ancora coniata la parola "femminicidio", non c'era ancora lazanardo, e tante cose non erano ancora successe. Mi sembrava importante pubblicare quelle foto perché costituivano per me i fotogrammi scomposti e forse spaginati di un film che si stava girando sotto i nostri occhi, senza che riuscissimo a sentire il rumore della machina da presa. Una cosa zitta zitta, silenziosa silenziosa anche se spettacolarmente invadente e velenosa. Facevamo finta di non vedere e sorridevamo imbarazzati, perchè non volevamo apparire antichi di fronte al moderno che avanzava veloce. E zitt* siamo rimast* per tanto tempo. Mi ricordo che prendevo faticosi appuntamenti con editori che mi ricevevano a malavoglia e mi lasciavano deluso ogni volta di più perchè non mi degnavano di quel po' di attenzione che forse sarebbe stata necessaria. I più spudorati mi chiedevano dei soldi, facendomi capire che per denaro avrebbero pubblicato anche quella roba lì. Altri grandi e piccoli, di regine o indipendenti perdevano il progetto o mi facevano perdere la pazienza dietro mille telefonate. Arrivato al 18mo editore mi sono scocciato: questo bambinello doveva nascere, la gravidanza era oltre il termine. Allora ho concepito la mia seconda follia (dopo quella dell'auto-edizione del libro fotografico Capri!): pubblicarlo da solo, senza editori né distribuzione né libreria. Ma anche senza foto: costava troppo. È stato concepito come un libro di fotografie senza fotografie, ma solo con il testo. Le immagini erano scappate su un sito creato appositamente per economizzare sulla stampa. Ma alla fine è stata una mossa vincente. E così mi sono messo per sei mesi a riscrivere tutta quella complicata storia del lupo cattivo e l'11/11/11 il bambinello è nato. Solo solo, piccolo piccolo, ma bianco e rosso in volto. Sembrava in salute. Da allora si è comportato come un vero campione: mille copie vendute in due anni. Vendute una a una a persone che ascoltavano le mie conferenze o lo ordinavano per posta e io prontamente lo spedivo. Pochissimi omaggi perché il lavoro era a carico mio e doveva rendermi quel po' di denaro per andare avanti sulla strada del lupo, andare a fare conferenze gratuite nelle scuole occupate o conferenze mal pagate nei comuni occupati pure loro, ma dai politicanti. Nel più candido isolamento questo bambinello è cresciuto, senza nemmeno una recensione, mai un articolo su una testata importante, mai un'intervista al cocciuto autore che l'aveva scritto. Altro che "Usciamo dal silenzio" qui è stato un "precipitiamo nel silenzio". Ma non importa. Ne sono stato orgoglioso e soddisfatto sentendo quelle mille mani che mi hanno ringraziato, abbraciato spesso con occhi lucidi, quasi sempre senza parole ma con l'eco profonda di un dolore inconfessabile. Nelle oltre 90 conferenze di questi anni ho capito un milione di cose, ho scoperto territorio dell'animo unamo che immaginavo inesistenti, ho sentito storie che mi hanno cambiato dentro e fuori, ho forse aiutato donne e uomini a guardarsi dentro con più coraggio. Ne sono stato felice. Anche se non posso dire che non mi abbia fatto male tutto questo silenzio, questa indifferenza del mondo che detiene le manopole dell'informazione, questa diffidenza per un uomo che si occupava di "cose da donne".
Adesso sono rimaste le ultime 300 copie e mi piacerebbe vederle volare via in questa fine d'anno, come una cometa all'incontrario, che va dalla terra al cielo. Voglio passare ad altro, questo "testamento" sulla mia idea delle radici culturali della violenza sulla donna ha fatto la sua strada e sento il bisogno di andare altrove. Vorrei portare la mia macchina fotografica e la mia poesia su altre spiagge di diritti malconci, spiegazzati, strappati, calpestati.
Datemi ancora una mano. Comprate e regalate queste 300 copie così potrò finalmente lasciare questo libro ormai adulto e occuparmi di altre creaturine, pur sapendo che sarà difficile, oggi come ventiquattro anni fa. Ma voi ci sarete ancora. Lo sento. E le faremo crescere insieme queste creaturine.
Buon Natale
Ico

(ah, per sapere come fare a comprarlo andate sul sito www.ilmaestrodellupocattivo.it)

domenica 8 dicembre 2013

V come Vagina. Lettera aperta al dott.Stefano Beraldo Amministratore Delegato di OVS

Milano 7 dicembre 2013 - Sant'Ambrogio
La domanda che vorrei porre all'inizio di questa nostra conversazione (per il momento a senso unico) è se, come azienda e lei come singolo individuo e manager di carriera, siete venuti a conoscenza del fatto che una parte piccola – ma sicuramente in lenta e continua crescita numerica – della popolazione di questo paese sta cominciando a trovare non più accettabili certe campagne pubblicitarie che, per essere sintetici, rappresentano la donna in maniera inadeguata ai tempi moderni, sottovalutata, oggettivata (cioè trasformata e presentata solo come oggetto sessualmente desiderabile e disponibile), ridicolizzata, super-erotizzata, ridotta a puro specchietto sexy per le allodole (che dovremmo poi capire chi sono e cosa dovrebbero pensare queste allodole, secondo voi).
In altri termini, pubblicità che rappresentano pagine del grande e composito libro dove si insegna e si apprende quella che ormai viene definita abitualmente "la cultura della violenza sulla donna", dagli esiti imprevedibili e in troppi casi addirittura criminali.
Ma ci tengo a rassicurarla e, la prego, non mi fraintenda: ho detto "grande e composito libro", non ho detto "pallottola". In questo stesso libro trovano posto infatti anche tutte le altre migliaia di campagne pubblicitarie stradali sessiste d'Italia, insieme alla televisione pubblica e privata, ai giornali maschili e femminili, alla politica, ecc. ecc. che alimentano questa cultura.
Veniamo ora al manifesto in oggetto. 

Seguo da tempo le vostre campagne, soprattutto quelle successive alla trasformazione del vecchio e un po' polveroso marchio OVS in uno più moderno, affidato a un logo composto dalle tre lettere bianche, lunghe e sottili. Quelle che vediamo appunto anche in questa campagna. 
In questo percorso ho notato che vi siete sempre posizionati sulla linea del cosiddetto "sessismo benevolo" cioè quella specifica rappresentazione della donna ai fini pubblicitari che rimane in maniera rassicurante all'interno di stereotipi ormai largamente accettati (ahimè) e che mettono mano alle categorie di bellezza, magrezza, giovinezza, liscezza, dolcezza, biondezza e via dicendo (libertà poetiche comprese). Questo sessismo, tuttavia, è pur sempre una forma di sessismo, anche se benevolo, e rimane in ogni caso discriminante. Discriminante nei confronti di milioni di persone che non rientrano o non rientrano pienamente negli stereotipi suddetti e che ci fanno i conti tutte le mattine davanti allo specchio o il pomeriggio in palestra o la sera davanti al possibile fidanzato. Vorrebbero assomigliare al/alla testimonial di turno, ma non ci riusciranno neanche acquistando un capo OVS. Ma questo lo scopriranno dopo.
Lo stesso messaggio, con logica inversa, soddisfa invece la vostra missione di comunicatori "aspirazionali" nei confronti del pubblico: gli offrite un modello cui assomigliare. "Modello" inteso nei due significati di capo di abbigliamento e "modello" di comportamento, studiato per essere riconosciuto dal settore strategico del target cui la campagna è dedicata: ragazza carina acqua e sapone, oppure ragazza carina disinibita e provocante, giovanotto palestrato e simili.
In passato non avete mai sconfinato a mia memoria nel cosiddetto "sessismo malevolo", cioè quello che fa dei passi in avanti sulla strada del "modello", passando ad allusioni sessuali medie, pesanti e pesantissime che presentano, offrono, sempre la donna eccitante davanti ai nostri occhi di maschi ormai eroticamente sopraffatti da tanta inaspettata offerta di carta. 
Oggi però mi avete sospreso. 
Siete scesi anche voi sul terreno (innevato) della volgarità a dir poco, del sessismo velenoso a voler dire più precisamente. E che avete fatto, sicuramente dopo averne discusso e concordato in sede aziendale? Avete preso una ragazza simile al tipo medio del vostro repertorio d'immagine acqua e sapone, cioè non super-erotizzata e provocante, ma l'avete fatta accomodare con intimo in pizzo nero ben evidente, con le gambe nude talmente allargate da non entrare nella larghezza del cartellone, sulla neve, non prima di averla ridicolizzata con un paio di inutili occhialoni appesi al collo. Questa ragazza comunque non rinuncia alle sue tradizionali "armi" femminili, ci guarda fissa, determinata, non certo indisponibile, se dobbiamo dare credito a quel minimo di storia iconografica che da oltre 3000 anni ci accompagna, con le braccia in segno di attesa. 
Ma ecco il capolavoro, quello che ai miei occhi sembrerebbe indicare addirittura una svolta di stile: il vostro triletterato marchio trova posto in quel golfo venutosi a creare tra le gambe aperte e i caldi stivaloni di pelo, e accoglie, manco a dirlo, la lettera V al centro di detto golfo, diciamo pure in corrispondenza del ventre della ragazza. Lo so che tutta la campagna è fatta con il marchio in quella posizione, indipendentemente dal soggetto, ma non l'ho mica deciso io!! Noi lo vediamo così, poco ci importa delle vostre regole grafiche.
Ora, questa è una semplice descrizione dell'immagine (ragazza vestita così, seduta così, gambe messe così, scritta collocata colà ecc.). Le interpretazioni personali, soggettive, potranno tendere da una parte o dall'altra, a seconda degli interessi e della capacità di lettura dell'osservatore e anche la sua appartenenza di genere: uomo o donna che guarda?
Tuttavia, in attesa di queste considerazioni personali, non posso non ribadire ancora una volta un concetto fondamentale, un caposaldo: la comunicazione pubblicitaria a mezzo di pubblicità stradale sarà vista da tutte le persone che ci passeranno davanti e non potranno fare a meno di vederla. Potranno non guardarla o guardarla frettolosamente, ma l'immagine, insieme alle altre migliaia che ogni anno ci avvelenano l'anima, verrà memorizzata in qualche angolino del nostro cervello di uomini e di donne. 
Ecco allora che la sua responsabilità di manager diventa più impegnativa, più stringente, più vincolante: tutti i possibili significati che un vostro cartellone porta con sé devono essere preventivamente analizzati e vagliati e, se necessario esclusi, al fine di non produrre nuove pagine di quel maledetto libro di cui sopra.
Questa vostra ragazza OVS sta cercando di venderci un top in pizzo – che si vede pochissimo – a soli 6,99 euro (scritta che si distingue male e si percepisce molto dopo le gambe della ragazza e la famosa V) ma sta anche rappresentando un modello di comportamento che potrebbe essere legittimo se inquadrato nell'ambito della nostra vita privata in cui siamo liberissimi/e – e ripeto liberissimi/e – di fare e vestire e allargare le gambe come e dove vogliamo, ma diventa "comunicazione obbligatoria", quindi veicolo di istruzioni e informazioni se stampato su un cartellone stradale. Sì lo so, avete chiesto al Comune di Milano (che lo ha concesso) il permesso di affissione della campagna ma con esso avete ottenuto il permesso di esposizione in piena strada di questa ragazza dalle gambe larghe e la V strategica per una quindicina di giorni, senza preoccuparvi di conoscere la nostra opinione in proposito. 
Certo, mi dirà, sarebbe inattuabile un tale tipo di consultazione preventiva e concordo con lei. E poi... su quale gruppo di ricerca condurre l'intervista, selezionato come e da chi? Lasciamo perdere.
Proprio per questo siamo nelle sue mani.
Ecco allora che le campagne, anche le future OVS, soprattutto quando saranno rivolte al target "GIOVANI DONNE" dovranno essere più rispettose della salvaguardia di due diritti fondamentali: quello delle donne di non vedersi rappresentate sempre e solamente come degli oggetti sessuali da desiderare e possedere, ma come delle persone (una banalità che dobbiamo, purtroppo, ancora ripetere) e quello degli uomini – giovani e meno giovani – a essere lasciati tranquilli, senza queste continua fonte di eccitazione sessuale a portata di naso, perché moltissimi di noi non sono ancora capaci di filtrarle queste immagini e razionalizzarle con gli argomenti del rispetto e della civiltà che le renderebbero addirittura innocue e noiose.
Per concludere, le dico che questa lettera non la spedirò al suo indirizzo di ufficio, facilmente reperibile sul vostro sito, ma la affido anch'io a un pubblico di consumatori e consumatrici, come fate voi con i manifesti, un pubblico che frequenta il web e magari la rilancerà, finchè andrà nelle mani di qualcuno o qualcuna che potrà recapitargliela personalmente. 
E se non le arriverà, pazienza. Anche il suo messaggio di invito al consumo OVS non mi è arrivato. Il mondo è pieno di magliette!





domenica 1 dicembre 2013

Dedicato alla Casa delle Donne di Jesi. Sportello antiviolenza. 29 novembre 2013

Foto: © Ico Gasparri 2009
Testo: © Ico Gasparri 2013


e quando ci chiese di alzarci...
quando chiese di alzarsi a tutte quelle di noi che nella propria vita avessero subito – in quanto donne – una qualche forma di violenza, di sopruso, di maltrattamento fisico o psicologico, economico, qualche discriminazione in casa, sul lavoro, nel mondo degli altri, davanti agli altri o nel chiuso della propria casa o nel recinto segreto delle nostre lenzuola... le luci si abbasarono (le luci si abbassano in sala).
Cominciai a volgere lo sguardo intorno a me senza voltare la testa; guardavo basso quelle due o tre sedute accanto a me, poi un po' più in là, finchè lo sguardo della testa-senza-rotazione poteva arrivare.
Poi guardai me.
Guardai le mie mani, le mie gambe e cominciai a pensare a me, alla mia storia. 
Andai indietro alla ricerca di qualcosa che magari mi riguardava. Andai alla ricerca di ricordi ghiacciati e cominciai ad aprire i cassetti dei miei ricordi. Percepivo – con la testa sempre più incassata nel collo – che anche le altre stavano scavando come me e mi chiedevo con terrore cosa avessero scoperto loro nel ghiaccio dei ricordi. 
Tiravio via lo sguardo quando inciampavo in qualcosa che mi bruciava, ma sentivo e rivedevo senza guardarli distintamente molti, troppi, episodi che mi avrebbero dovuto far alzare.
E mentre pensavo così...
E mentre pensavo così, sentii dietro di me una donna alzarsi, facendo un piccolo rumore con la sedia e con il cappotto che le cadeva. Non trovai la forza di voltarmi e mi domandavo chi fosse, che ricordi avesse trovato nei suoi cassetti di bambina, di ragazza o di donna.
E mentre pensavo così...
E mentre pansavo così, si alzarono allo stesso tempo due donne più avanti di me, una a destra e una a sinistra. Nella penombra vedevo bene le loro sagone e riconobbi Margherita, una mia amica del liceo che sedeva due file davanti a me. Mi fece male vederla in piedi. Non sapevo, non immaginavo perché.
Sentivo altri fruscii, altre poltrone chiudersi e cappotti buttati giù. 
E io restavo seduta, con le gambe ormai di cemento pesante.
Restavo seduta guardando indietro come alla vita di un'altra.
Fui tra le ultime ad alzarmi, senza nemmeno che i ricordi vicini o lontani si fossero messi tutti correttamente a fuoco. Non ne avevo bisogno: quel ghiaccio mi diceva che le gambe pesanti dovevano muoversi.
In piedi, nel silenzio, la mia vicina, in piedi anche lei, mi strinse la mano che avevo appoggiato alla poltrona davanti a me per tenermi dritta.
Mi voltai un poco a guardarla, quel poco che mi consentì di vedere la mano del suo compagno, in piedi anche lui, stringersi alla sua, appoggiata alla poltrona davanti a loro. Vuota. Con una donna in piedi.


Per le donne della Casa delle Donne di Jesi. 
Sportello antiviolenza. 
Chiama il 366 48 18 366.