Provo a commentare questo fatto di cronaca napoletana attraverso le parole di un articolo che lo descrive, approfittando per esprimere i miei commenti in merito ad entrambi, articolo e fatto.
L'articolo riportato in colore nero è di Attilio Iannuzzo ed è apparso su Il Mattino on line di Napoli
il 9 febbraio 2018. In rosso corsivo le mie considerazioni.
Napoli, è bufera sullo
spot davanti all’ospedale dei bambini: «Pubblicità oscena, intervenga
l’Authority»
Innanzitutto analizziamo i termini utilizzati nel
titolo: bufera.
La percezione che si ha leggendo questi ed altri
episodici articoli di giornale che si occupano di questi fatti (sempre trattati
come fatti di cronaca e non di cultura nazionale) è che ci sia un reale sommovimento in
città – Napoli, Roma o Milano non importa –, che la città sia colpita addirittura
da una "bufera". Chi si occupa di queste faccende sa benissimo che
ciò non è assolutamente vero. La città di Napoli, come le altre, ospita
centinaia di migliaia di abitanti che hanno tollerato migliaia di campagne
violente e sessiste per decine di anni senza dire praticamente niente. Una
piccola, piccolissima, minuscola quantità di questi abitanti, essenzialmente
donne, ha protestato negli anni per alcune campagne che si presentavano assai
eloquenti, esplicite e violente (ricordiamo per tutte quella di Relish con i poliziotti
che fermavano le due ragazze e le molestavano pesantemente), senza sollevare bufere mentre sul
grattacielo di fronte a quella campeggiava una pubblicità con due donne che si
accingevano a succhiare, eroticamente esaltate, la testa di due grossi serpenti
che avvolgevano il loro corpo. Queste centinaia di migliaia di persone fingono
di non vedere i milioni di metri quadrati di istigazione alla violenza comparsi
su Via Marina e altre strade tutti i giorni per anni. Anche nel caso odierno, sono
sicuro che se andassi in giro per Napoli oggi o domani potrei fotografare venti
o trenta campagne sessiste contemporaneamente affisse, forse più violente e velenose di questa, ma forse meno facilmente percepibili (ieri 9 febbraio
2018 in Piazza Garibaldi per esempio ho visto troneggiare su un palazzo, a
destra della stazione uscendo, un grandissimo cartellone con una campagna non
meno violenta di questa e non ho letto niente in proposito). Quindi: attenzione
alla parola "bufera", dà l'impressione che le masse si agitino. Non è ancora vero!
"Pubblicità oscena". Alcuni anni
fa sono stato invitato in un centro anti-violenza di Ravenna proprio per
discutere del linguaggio dei media in merito alle cronache di stupro e violenza
sulle donne. L'argomento era il lessico, il vocabolario, le accezioni delle
parole nella lingua comune e il loro uso per descrivere fatti e fenomeni di
violenza. Alla luce di quelle e di altre considerazioni linguistiche
succedutesi negli anni in convegni e seminari, appare evidente che "osceno" non è l'aggettivo adatto
per questa scena. Essa è violenta, non oscena. "Oscena", "osé",
"piccante", "provocante", "spinta" sono alcuni
dei tanti modi di esprimersi per generare consapevolmente o inconsapevolmente
(non so cosa sia peggio!) una forma di indulgenza, di tolleranza compiacente e
cameratesca davanti al dilagare di culture e atteggiamenti maschilisti e
discriminanti affermatesi nel corso di questi ultimi 30 anni e forse patrimonio
dell'intera nostra nazione da lunghissimo tempo. Questa scena
non esprime oscenità: esprime piuttosto una ben radicata cultura maschilista e
violenta italiana non più tollerabile e non più confinabile nel mondo dei
sorrisetti e dei colpi di gomito tra amici.
"Intervenga l'authority". Di cosa stiamo
veramente parlando? Esiste un'autorità pubblica, cioè istituzionale, con poteri
reali e codificati che possa intervenire per far rimuovere da spazi pubblici (e da quelli in concessione a privati?) un'affissione pubblicitaria sulla base di una valutazione legata ai concetti di
violenza, discriminazione sessista, omofobia e simili? Fortunatamente no! Mi
sono già più volte espresso sulla contrarietà mia personale all'istituzione di
tale organismo e più volte mi sono dichiarato contrario nel ricorrere ad
istituzioni private che si sono autocandidate a svolgere questa attività. A Napoli esiste un tavolo inter-assessorile per le Pari Opportunità che si
è occupato di questo manifesto facendo scaturire, se ho capito bene, l'ordinanza
sindacale di rimozione. Questa è una cosa civile, di buonissima volontà, ma i problemi sono tantissimi: questo tavolo è attivo in base a quale regolamento?
In base a quali analisi delle immagini, inoppugnabile in termini di legge, si emette questa ordinanza? E se l'azienda denuncia il sindaco, avrà torto sicuramente? E cosa significa per il
cittadino, a questo punto, dopo la rimozione di oggi, trovarsi di fronte a
tutte le altre migliaia di manifesti sessisti che annualmente NON vengono
rimossi? Penserà che sono giusti, visibili, corretti! Il tema della censura,
come si capisce, è scivolosissimo e andrebbe trattato in maniera esaustiva tra
addetti ai lavori realmente informati del problema e delle tante considerazioni
connesse. Tuttavia, di fronte ad eventuali regolamenti di impossibile
attuazione (chi misura e giudica la violenza, il sessismo, gli stereotipi, i
gesti? e in base a quali parametri?) sono dell'idea che le strade da percorrere
siano ben diverse ed essenzialmente di cultura e formazione civile.
Non è
la solita pubblicità.
Invece sì! È proprio la solita pubblicità! Con
attori e marche diverse, ma si iscrive esattamente nello stesso libro della
violenza di migliaia di altre passate, presenti e molto probabilmente future.
Soprattutto
quando viene collocata davanti un ospedale, il Pausilipon.
Passiamo alla questione della collocazione: "davanti
all'ospedale dei bambini". Come già in un'altra occasione di protesta
di pochi anni fa per manifesti apparsi davanti a una scuola elementare di
Milano, qualsiasi persona di buon senso si starà chiedendo perché la cosa
dovrebbe apparire più grave in virtù del fatto che la campagna sia affissa
davanti all'ospedale. I bambini e le bambine degenti sono colpiti dal messaggio
solo se sta davanti all'ospedale? E se fosse lungo la strada per arrivare
all'ospedale o lungo quella per tornare guariti a casa sarebbe meno grave? È
evidente quindi che non è una questione di luogo di affissione e mi chiedo
cos'è questa visione pietistica e bigotta della realtà? La cosa è grave e
basta. Per tutti, tutte, dovunque e sempre. Tuttavia, si impone un'altra
riflessione: sarebbe scoppiata la "bufera" se lo stesso manifesto
fosse stato affisso in via Marina o altrove e non davanti ad un ospedale, per giunta
per bambini? La stessa ditta produttrice ci informa che ne hanno affissi ben
200 in città che, calcolando una superficie di 6x3 m ciascuno, cioè 18mq, fa
3.600 metri quadrati di immagine violenta passati nel silenzio prima di questo dell'ospedale. Voglio solo sperare che l'ospedale sia stato solo il pretesto e non il vero problema.
Artefice della propaganda un’azienda di articoli
sportivi. Un uomo prende con la mano sinistra i capelli di una donna, tirandoli
con fare violento, l’altra mano poggiata sull'anca. I due sono nudi e tatuati.
Il problema della pubblicità sessista, come più
volte dimostrato, non è mai collegato alla nudità e, ancor meno ai tatuaggi che
non capisco in che modo debbano destare la nostra attenzione. Forse che uno o
due persone tatuate appartengano a nuove categorie di "diversi" da additare alle folle?
Il rammarico di numerosi genitori, che lottando
con le proprie sofferenze e quelle dei figli devono ogni giorno sfiorare con lo
sguardo immagini volgari,
Come detto prima, le parole sono importanti e
possono orientare il lettore verso considerazioni più o meno accondiscendenti.
"Volgare" è meno grave di violento, di sessista. Quindi, facciamoci
coraggio diciamo che questa azienda e questi pubblicitari e anche i loro
consumatori e consumatrici che acquisteranno il prodotto(?) stanno scrivendo
pagine di violenza contro la donna, non pagine di volgarità.
Alcuni potrebbero chiedere perché? Si tratta di due
che fanno l'amore, che male c'è? Siamo arcaici e bacchettoni? E qui la cosa si
complica. A ben vedere, in effetti, la scena – ambientata in un caratteristico non-spazio
pubblicitario scadente – ci mostra, dal punto di vista iconografico, un uomo e
una donna nudi che fanno l'amore con lui dietro e lei davanti di spalle. Un
momento erotico reale, probabile, di due che simulano di farlo davvero, dove lei sembra addirittura contenta,
nella solita estasi pre-orgasmica della pubblicità sessista. Cos'è che non va?
Cos'è che mi spinge a dire che siamo di fronte a un'immagine violenta? Diversi
elementi.
Innanzitutto siamo di fronte a una fotografia pubblicitaria
per la vendita e non ad una foto dell'album privato dei due. E questo
basterebbe già a spiegare i miei motivi di avversione. Ma mi spiego meglio.
A causa di ciò, cioè a causa del posizionamento su
una fotografia qualunque di un nome di marca, di un brand, di uno slogan, la
stessa foto smette di essere un ricordo erotico privato e diventa un veicolo di
marketing, uno strumento per attuare quelle tecniche che prevedono l'utilizzo
di stereotipi, modelli, schemi facilmente comprensibili, diretti e convincenti
ai quali il pubblico dovrebbe affezionarsi e correre ad acquistare. E questi
stereotipi sono violenti e sessisti perché l'espressione dell'uomo non è in
sintonia con quella della donna. Le mani di lui afferrano capelli e fianchi, lo
sguardo è di conquista e dominio, non di complicità E questa è iconografia, non
una mia opinione. L'uomo non sta amando quella donna ma le sta facendo l'amore
addosso. Ecco dov'è la violenza che viene raccontata a quei bambini davanti
all'ospedale. I due non si amano, ma lui prende lei. Parola di maschio adulto!
mai come in questo caso fuori luogo.
No, caro Iannuzzo, tutte le immagini violente e sessiste sono
"fuori luogo" (altra espressione indulgente), non solo questa.
«Possibile che il Comune di Napoli – scrive Alessandra
sui social – debba consentire questa vergogna? Sotto l’ospedale
Pausilipon? Nessuno dice o si accorge di nulla?». Alla valanga di polemiche su
pubblicità in città
La bufera si è trasformata addirittura in
"valanga"
c’è chi fa sconti all'Amministrazione Comunale
additando gli Organi di garanzia: «Più che il Comune di Napoli - dice un
residente - dovrebbe essere l’Authority ad intervenire, ma in questa città
tutti fanno quello che vogliono».
Ottimo rinforzo da parte del giornalista per una
visione qualunquista del problema e della funzione stessa della partecipazione
di questo cittadino che certamente non avrà mai mosso un dito per cambiare
questo "tutti fanno quello che vogliono"
«Il Comune proceda immediatamente alla rimozione
del manifesto »incriminato«. È un atto dovuto per le immagini che contiene e
per il messaggio sbagliato che dà, ma anche una forma di rispetto per la
sofferenza dei minori ricoverati all'ospedale pediatrico partenopeo, Pausilipon
-Santobono e dei loro familiari».
Fin qui vale quanto detto sopra, con affetto nei
confronti dei piccoli degenti, naturalmente, e dei loro genitori e dei loro
fratelli e delle loro sorelle e dei passanti
e dei vigili urbani e degli operatori ecologici e dei negozianti
circostanti e dei turisti ecc.
È quanto auspica Mara Carfagna, deputato e
consigliere comunale a Napoli per Forza Italia in merito al manifesto
pubblicitario dai contenuti osé
Ancora questa espressione "osé" datata e
indulgente che compare sulla stampa frequentemente.
affisso dinanzi al polo ospedaliero partenopeo.
«Le pareti delle nostre città - dice - non possono essere utilizzate senza
criterio, né controllo. Ecco perché il governo di centrodestra, quando ero
ministro, aveva stipulato un accordo tra Dipartimento per le Pari Opportunità e
l'istituto per l' Autodisciplina Pubblicitaria che consentiva il ritiro di
campagne pubblicitarie violente o sessiste nel giro di pochissimo tempo.
Pensiamo che quello strumento debba essere utilizzato più e meglio di quanto
sia stato fatto in questi anni».Venerdì 9 Febbraio
2018, 11:51
Qui occorre un intervento di restauro della realtà perché
altrimenti tutto diventa verità e questo non ce lo possiamo più permettere. La
persona cui viene chiesto il parere – scelta piuttosto discutibile nel panorama composto di centinaia di donne che anche a Napoli si battono tutti i giorni contro la
violenza in strutture e associazioni – ha rappresentato per milioni di italiani
e di italiane esattamente il simbolo di quel sessismo che vorremmo combattere anche
nella pubblicità, impersonando mirabilmente la figura della donna in politica
agli ordini del maschio. La realtà che descrive operativamente non è mai
esistita e io ne sono testimone e mi assumo le responsabilità dei ricordi che
espongo. La tanto sbandierata attività di governo – che in quanto governo di
centrodestra non sarebbe forse neanche tenuto ad occuparsi dei diritti delle
donne, ma questa è un'appassionante discussione da rinviare ad altra sede – non
ha dato alcun risultato concreto (come tutt* possiamo vedere) e nemmeno
immaginario: è stata una triste pagina di propaganda portata avanti da persone
che evidentemente non conoscevano il problema, tanto da immaginare una
possibilità normativa per un problema che è culturale e millenario e non si può
certo rinchiudere in alcun regolamento, né comunale né di governo. Inoltre, l'istituto
di cui si parla sopra è un organismo privato composto da pubblicitari privati che da
anni avrebbero dovuto autogovernarsi e non solo non lo hanno fatto, ma si sono "distratti"
all'apparire di interi nuovi filoni di pubblicità, come l'introduzione di
modelle bambine già sessualizzate e assimilate alle immagini delle modelle
adulte che sono divenute intanto sempre più esplicite nei loro richiami alla
sottomissione sessuale e all'oggettivazione della donna, come dimostra la donna
tirata per i capelli del manifesto in oggetto. Le pubblicità in questi anni hanno
continuato ad ammorbare gli spazi collettivi delle nostre città, diventando
sempre più violente e sessiste. Zero inversioni di tendenza. Zero risultati
reali. Zero tempi brevi. Zero campagne di sensibilizzazione popolari e diffuse.
Zero atteggiamenti di consumo critico, per carità, vogliamo bloccare l'economia? Tutto si è limitato a qualche rarissimo intervento
di tardiva eliminazione di alcune campagne assai esplicite (e quindi facilmente
identificabili) nel mare magno di immagini violente che – anche sul palazzo di
fronte a quella di cui si discute oggi – hanno continuato ad esistere
indisturbate.
A questo punto dopo aver scoperto l'esistenza di questa ditta ERICK EVANS sarò ben lieto di rivolgere altrove i miei acquisti in materia di sport. Il mondo è pieno di magliette per correre. E anche per stare fermi!